Los Angeles, 3 marzo 2025 – Cinque vittorie su sei nomination: gli Oscar 2025 segnano il trionfo del cinema indipendente, a basso costo e fuori dal giro delle piattaforme streaming. ‘Anora’, già Palma d’oro a Cannes, vince come miglior film, regia, attrice protagonista, la giovanissima Mikey Madison, montaggio e sceneggiatura originale. Quattro statuette finiscono nelle mani del deus ex machina della commedia che racconta l’infrangersi del sogno russo-americano di una pole dancer newyorkese di origini uzbeke, sex-worker che si ritrova sposata con il viziato e imbelle figlio di un oligarca russo in vacanza studio negli Stati Uniti, ma che vede la sua scalata alla ricchezza infrangersi nel giro di poche ore, costretta al divorzio dagli sgherri russi e armeni ingaggiati dalla famiglia di lui.
Un’anti-Cenerentola anti-consumistica, sexy, rutilante e dal finale spiazzante a cui l’autore, Sean Baker, nato nel New Jersey 54 anni fa, ha dato vita con un budget di soli 6 milioni di dollari e 45 persone di troupe, inseguendo un’idea nata nella sua mente una ventina d’anni fa quando, lavorando come regista di video di matrimoni per coppie newyorkesi, entrò in contatto per la prima volta con la comunità russo-americana di Brighton Beach. “Questa è la dimostrazione che anche un film indipendente può avere successo”, hanno detto i colleghi produttori di Baker, ritirando la statuetta più importante, “un esempio per i giovani sognatori che fanno cinema: con noi hanno vinto solo le lacrime e il sangue”.
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Ritirando un premio dopo l’altro, Baker aveva poi dedicato le varie vittorie - 4 statuette la stessa sera nelle mani della stessa persona rappresentano un record che era toccato nella storia degli Oscar finora solo a Walt Disney – alle lavoratrici e ai lavoratori del sesso “che hanno condiviso con noi le loro storie”; alla moglie e al cane; alla mamma (“oggi è anche il suo compleanno”) che “mi ha portato al cinema la prima volta quando avevo 5 anni: chiedo a tutti i genitori di portare i propri figli al cinema. Tante sale sono state chiuse durante e dopo la pandemia - ha detto Baker sul palco del Dolby - : ma il cinema esiste perché sia visto nelle sale, registi fate film da distribuire al cinema”. “Immagino che gli americani si siano emozionati nel vedere almeno in ‘Anora’ qualcuno che ha il coraggio di andare contro un russo potente", è stata l’unica battuta ispirata all’attualità, e riferita allo scontro tra la protagonista del film e il padre del suo ragazzo (nonché alla sintonia fra Trump e Putin), fatta dal nuovo presentatore della cerimonia, Colin O’Brien.
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Poca politica sul palco
Già, perché neanche fosse andato a lezione da Carlo Conti, O'Brien ha veramente fatto di tutto affinché la 97ª cerimonia degli Oscar si svolgesse in una bolla apolitica, fuori dal tempo se non addirittura indietro nel tempo con ogni battaglia sociale – dal #MeToo al Black Lives Matter – anestetizzata come l'oliva nel Martini di quel James Bond al quale l'Academy ha reso omaggio con canzoni e balletto aperto dalle falcate sexy di una fin troppo anacronisticamente ammiccante Margaret Qualley. Lasciata fuori dall'ingresso principale, la politica è comunque riuscita a fare le sue incursioni sul palco nelle parole di Daryl Hannah che, presentando l'Oscar per il montaggio, ha lanciato il grido "Slava Ukraini" (gloria all’Ucraina), e in quelle del collettivo israelo-palestinese formato da Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor e Hamdan Ballal vincitori della statuetta per il miglior documentario con "No Other Land". Il palestinese Basel Adra ha ritirato il premio dicendo: "Ho promesso a mia figlia, nata due mesi fa, che non avrebbe vissuto quello che sto vivendo io sotto l'occupazione israeliana: chiediamo di fermare la pulizia etnica dei palestinesi"; l'israeliano Yuval Abraham ha aggiunto: "Questo film è stato fatto insieme da palestinesi e israeliani. Insieme chiediamo la liberazione degli ostaggi israeliani e anche una soluzione politica che ponga fine a un regime per il quale io sono libero e lui – e indica Basel – non può esserlo; una soluzione politica in cui si riconoscono i diritti dell'uno e dell'altro. Noi siamo tutti interconnessi, non è troppo tardi, io posso essere al sicuro solo se la gente al mio fianco è libera e sicura".
Il discorso di Brody
Per il resto, – come a Sanremo – tanti grazie mamma, grazie famiglia in generale e poco altro. “Grazie a mamma a papà e ai miei fratelli: è tutto surreale, è un sogno che si realizza, forse mi sveglierò domani”, ha detto Mikey Madison, 26 anni, in precedenza ragazza della setta di Charles Manson bruciata davanti alla piscina di Rick Dalton in ‘C’era una volta a Hollywood’ di Quentin Tarantino, ricevendo da Emma Stone l’Oscar come migliore attrice protagonista, e sovvertendo tutti i pronostici che davano come superfavorita la Demi Moore di ‘The Substance’ (che ci è rimasta malissimo: lo testimonia il suo sorriso che si trasforma in smorfia all’annuncio dell’altro nome).
Migliore attore protagonista Adrien Brody, 51 anni, al suo secondo Oscar dopo quello vinto 22 anni fa con ‘Il pianista’ di Polanski. Premiato per l’interpretazione dell’immaginario architetto ungherese brutalista László Tóth scampato a Buchenwald ed emigrato negli Stati Uniti, Brody _ lanciata la gomma da masticare alla moglie e chiesto alla regia di lasciarlo parlare più a lungo e di non interromperlo con la musica _ ha ringraziato per “l'incredibile onda di amore che ho sentito intorno a me” e perché vincere dimostra che “c'è sempre la possibilità di ricominciare da capo”. Non solo. “Sono ancora una volta su questo palco a rappresentare i traumi e le ripercussioni della guerra, del razzismo e dell'antisemitismo sistematico. Prego per un mondo più inclusivo: se il passato può insegnarci qualcosa, non lasciamo che l'odio continui a esistere senza trovare opposizione. Lottiamo per ciò che è giusto, continuiamo ad amarci e a sorriderci gli uni con gli altri”.
Delusione ‘Emilia Pérez’
Miglior film internazionale, come da previsioni dopo la debacle annunciata di ‘Emilia Pérez’ causata dal ritrovamento di alcuni tweet razzisti scritti da Karla Sofía Gascón, il brasiliano ‘Io sono ancora qui’ di Walter Salles che dedica il premio a Eunice Paiva, la moglie del deputato Rubens Piava desaparecido durante la dittatura militare brasiliana, e a Fernanda Torres e alla madre di lei Fernanda Montenegro, che interpretano Eunice nel suo film. E a proposito di ‘Emilia Pérez’: per il musical di Jacques Audiard le 13 nomination-record si risolvono in due Oscar vinti. Quello per la migliore canzone (“El mal”) e quello - dovuto - per la migliore attrice non protagonista, Zoe Saldaña. In lacrime, Zoe, 46 anni e marito italiano, il regista Marco Perego, ha detto: “Sono felicissima di questo onore e il fatto che siano stati premiati l'eroismo tranquillo e la forza di una donna come Rita. Jacques Audiard: hai fatto il personaggio che ho amato di più nella mia vita. Mamma, papà, sorelle: tutto quello che c'è di bello e scandaloso nella mia vita l'ho fatto grazie a voi; grazie a mio marito dai bellissimi capelli, e ai nostri figli; grazie a mia nonna che arrivò qui negli Stati Uniti nel '61 piena di sogni, io sono l'orgogliosa figlia di genitori immigrati, sono la prima americana di origine dominicana che riceve l'Oscar. Mia nonna sarebbe orgogliosissima”.
Isabella Rossellini e l’omaggio a Lynch
Ad applaudirla, in platea, c'è Isabella Rossellini: anche lei candidata come migliore non protagonista, per ‘Conclave’, Isabella si è presentata alla serata indossando un abito di velluto blu (‘Blue Velvet’, come il film diretto dal “suo” David Lynch, appena scomparso) e ha assistito all’intera cerimonia seduta al fianco di un’altra musa di Lynch come Laura Dern.
Miglior attore non protagonista
Migliore attore non protagonista - anche qui come da previsioni – il fratello di “Mamma ho perso l’aereo – Macaulay” Kieran Culkin, 42 anni, per ‘A Real Pain’, in un testa a testa che l’ha visto portare via la statuetta al compagno tv di ‘Succession’ Jeremy Strong, candidato per la sua straordinaria interpretazione dell’avvocato Roy Cohn, diabolico mentore del giovane Donald Trumpo in ‘The Apprentice’.
Alain Delon dimenticato
Il momento “in memoriam” è stato aperto da Morgan Freeman con l’omaggio all’amico Gene Hackman: “Non solo una leggenda ma un uomo generoso. Mi diceva vorrei essere ricordato solo come qualcuno che ha provato a fare del suo meglio”. Di seguito scorrono le foto di tutte (o quasi) le altre stelle che ci hanno lasciato tra un Oscar e l’altro: Maggie Smith e Gena Rowlands, Teri Garr, Anouk Aimée, Donald Sutherland, Shelley Duvall, David Lynch. Manca, clamorosamente, all’appello Alain Delon.
Gli altri premi
Resta a zero ‘A Complete Unknown’: Bob Dylan però viene scherzosamente evocato da Mick Jagger arrivato al Dolby, sulle note di ‘Simpathy for the Devil’, per consegnare la statuetta della migliore canzone e accolto da una standing ovation. A ‘Conclave’ va l’Oscar per la sceneggiatura non originale tratta dal bestseller di Robert Harris. Tre in tutto le statuette per ‘The Brutalist’ (oltre all’attore protagonista, la colonna sonora e la fotografia). Primo uomo nero a ricevere l'Oscar per i costumi Paul Tazewell per ‘Wicked’ (il musical vince anche per la scenografia), primo Oscar vinto dalla Lettonia per il cartoon ‘Flow’ e Oscar all'Iran per il corto di animazione ‘In the Shadow of the Cypress’. Due gli Oscar a ‘Dune 2’ (suono ed effetti visivi). Uno a ‘The Substance’ (trucco), l’unico film in gara tra i migliori firmato da una donna.