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Fortunato Ortombina, 64 anni, sovrintendente della Teatro alla Scala
Sa già che il suo orizzonte temporale alla Scala è il 2030: la carta d’identità (compirà 65 anni il 10 maggio) vieta a Fortunato Ortombina di immaginare un ipotetico secondo mandato, visto che la legge impone ai manager degli enti lirici di congedarsi al settantesimo compleanno. Tuttavia, non è affatto detto che la necessità di dover incidere subito sia un male, anzi. Specie per uno pragmatico come l’ormai ex numero uno della Fenice di Venezia, che in via Filodrammatici è di casa (dal 2003 al 2007 è stato coordinatore della direzione artistica). Il diretto interessato ha subito messo le cose in chiaro, a pochi minuti dalla nomina ufficiale: "Non saranno cinque anni tranquilli" per il "primo sovrintendente della storia con i giorni contati", come lui stesso si è ironicamente autodefinito. Tradotto: Ortombina non è arrivato a Milano per fare il prepensionato di lusso.
E lo ha dimostrato sin da subito, annunciando le prime mosse: Franco Malgrande e Alessandro Galoppini resteranno rispettivamente direttore tecnico e direttore dei cast, mentre Paolo Gavazzeni sarà il nuovo coordinatore artistico. Discorso a parte merita la guida del corpo di ballo, lasciata vacante da Manuel Legris ("Non ci sono più le condizioni per continuare il mio lavoro con serenità ed energia positiva"): lo sostituirà "almeno per due anni" Frédéric Olivieri, che ha già ricoperto il ruolo dal 2002 al 2007 e dal 2016 al 2020 e che manterrà pure la direzione della scuola di ballo dell’Accademia. Una scelta voluta e "non un ripiego", ha sottolineato Ortombina, che ha sfoderato una metafora calcistica da intenditore: "Non è come quando Moratti (Massimo, ex presidente dell’Inter, ndr) chiamava Suarez (Luis, ex centrocampista nerazzurro, ndr) prima dell’arrivo di un nuovo allenatore".
Che in questo caso dovrebbe essere Roberto Bolle, al momento ancora impegnatissimo sul palco. Rinviati, per motivi diversi, i discorsi sulle due questioni più complesse da affrontare nel futuro prossimo. La prima è legata alla reintroduzione della figura del direttore generale, accantonata dopo l’uscita di Maria Di Freda e adesso invocata da più parti: la sensazione è che l’idea non scaldi il cuore di Ortombina, che però farà verifiche interne per valutare il da farsi.
Il secondo nodo da sciogliere è ancor più cruciale: da tempo si fa il nome di Daniele Gatti come candidato forte al podio scaligero, ma il neo sovrintendente ha ribadito che "il direttore musicale c’è" e si chiama Riccardo Chailly, che alla Scala "ha impegni per un paio d’anni". Presto per parlarne: "Le decisioni si prenderanno in tempi e modi adeguati".
Per il resto, Ortombina ha fissato alcuni obiettivi ben definiti: rafforzare sempre di più il rapporto con la città e diventare un faro "dal punto di vista della formazione" e della "ricerca" su ogni fronte (dalla regìa alle voci). Col sogno impossibile "che a Milano non ci sia più nessuno che non è mai stato alla Scala", la massima dell’amico Lino Toffolo a spronarlo ("Se a Milano hai una buona idea, la realizzi") e la consapevolezza che "i cambiamenti ci saranno perché ognuno vive nel tempo in cui si trova".
A proposito di cambiamenti, ce ne sono da segnalare nel nuovo Cda: oltre che per l’imprenditrice Diana Bracco (Camera di Commercio), ieri è stato il giorno del debutto anche per Barbara Berlusconi in quota Regione Lombardia e per Marcello Foa e Melania Rizzoli in quota ministero della Cultura. Nomi, gli ultimi tre, che i ben informati collocano in un accordo interno alla maggioranza sull’asse Roma-Milano: un consigliere per Forza Italia, uno per la Lega e uno per Fratelli d’Italia. "Il Paese al momento è governato dal centrodestra e anche la Regione e quindi è assolutamente normale – ha affermato il sindaco Giuseppe Sala –. La Scala ha la sua storia, è passata attraverso diversi periodi politici, eppure ha sempre lavorato in armonia. Questa armonia c’è sempre stata e ci dovrà continuare a essere". Pure in questa "nuova fase" appena iniziata.