A 71 anni, assaporare una nuova vita. Una nuova serenità, una nuova maturità. Christian De Sica racconta la svolta della sua vita professionale e personale.
Ha rimpianti, Christian?
"Nessuno. Non rinnego niente di quello che ho fatto: anzi, tutta la mia vita mi sembra un miracolo. Ho fatto sempre quello che amavo, e sono stato amato dalla gente. Ma adesso mi sento libero di affrontare sentimenti diversi. Di raccontare, per esempio, la malinconia. Di incontrare il cinema d’autore".
Poi si ferma un attimo, e ci pensa. "Anzi, sì. Uno. Non aver potuto interpretare L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore, perché in quel momento stavo girando un film in Brasile, e avevo un contratto di esclusiva con un altro produttore. E non aver potuto interpretare il terzo episodio della saga del Padrino. Alla Paramount mi avevano notato, mi chiesero di recitare al fianco di John Travolta. Poi il progetto ebbe mille cambiamenti e alla fine diventò tutto un altro film".
Incontriamo Christian De Sica al festival Cortinametraggio, dedicato al “cinema breve“.
Cortina: luogo imprescindibile per lei...
"Ci venni da bambino, quando mio papà Vittorio girava Vacanze d’inverno, avevo otto anni. Poi ci sono tornato, come attore, più di vent’anni dopo, per Vacanze di Natale. E da quel giorno la mia vita è cambiata".
Prima, lei dice, faceva la fame. Ma come può essere?
"Letteralmente. Saltavo i pasti. Mi salvava mia moglie Silvia, con il suo lavoro di speaker radiofonica. Ma il giorno che vidi la prima proiezione di prova di Vacanze di Natale, capii tutto. E le telefonai: ‘Silvié, da oggi cambia tutto. Da oggi si mangia!’"
Silvia, diceva, è stata anche la salvezza economica della vostra coppia…
"Io non ho guadagnato quasi niente per anni, ero disperato. E anche adesso, è lei quella con la testa sulle spalle: da anni mi dà la ‘paghetta’, altrimenti io uscirei per comprare le mozzarelle e tornerei a casa con un tappeto persiano…"
Eppure ne aveva fatte già tante, di cose. Se ne era anche andato in Venezuela a lavorare.
"Facevo il cameriere, e intanto mi esibivo come artista. Volevo distanziarmi da mio padre, avevo diciotto anni e le idee ancora confuse: temevo il confronto con un padre troppo famoso, troppo enorme, troppo mitico. E poi l’ho perduto, troppo presto. Avevo ventitré anni, ero poco più che un ragazzino. Non ha fatto in tempo a darmi consigli. Mi ha detto soltanto: ‘Figlio mio, se vuoi fare questo mestiere, fai in modo di essere il numero uno. Perché, dopo, alla mia età, se non sei il numero uno è umiliante salire le scale dei produttori, e pietire per un piccolo ruolo".
Lei, Christian, è diventato un numero uno.
"Beh, nel mio genere, sì. E non mi pento di niente: ho fatto quello che volevo fare, ho regalato per trent’anni sorrisi al pubblico. E se si vuole conoscere l’Italia degli anni ’90, sono sicuro che sia più rivelatore guardare i nostri cinepanettoni, che non qualche film d’autore che non ha inciso sulla realtà. I nostri film raccontavano l’Italia".
Ma oggi lei si sente un De Sica differente. In che cosa?
"Personalmente, sono sereno, pacificato. Artisticamente, sono sorpreso e anche felice di vedere che registi di grande prestigio mi stanno cercando. Abbiamo lavorato, negli scorsi mesi, con Paolo Virzì: sarò fra i protagonisti del suo nuovo film, Un altro Ferragosto. Ho scoperto un uomo di un talento e di una intelligenza rara".
Un suo sogno era raccontare l’incontro fra suo padre e sua madre, sul set di un film.
"È il film che per anni ho voluto fare: avrei interpretato mio padre, che nel 1944, con i nazisti a Roma, girò Le porte del cielo e s’innamorò di quella che poi sarebbe divenuta mia madre, Maria Mercader. Ma non accadde solo questo, in quel film meraviglioso: mio padre Vittorio accolse, come ‘comparse’, centinaia di ebrei. Li nascose, nel mucchio dei figuranti del film. E finse di continuare a girare il film anche quando la pellicola era finita, per evitare che quegli ebrei venissero scoperti e deportati. Pochi lo sanno, ma mio padre è stato una specie di Schindler italiano. Tanti di quegli ebrei andarono da mio padre in lacrime, ringraziandolo per aver salvato loro la vita".
Che bilancio fa della sua vita?
"Sono grato a mia moglie Silvia, con cui ho attraversato mezzo secolo di vita, in mezzo a mille tempeste. Quando l’ho incontrata, io avevo 21 anni, lei quattordici. Mi innamorai subito. Suo fratello, Carlo Verdone, mi menò anche, perché non credeva che facessi sul serio. Invece, facevo davvero sul serio, se dopo cinquant’anni siamo ancora qua".