Venerdì 27 Settembre 2024
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Oliver Stone: "Ora tocca a Putin"

Il regista a Lucca racconta il nuovo documentario: quattro ore con lo "zar"

Vladimir Putin (Olycom)

Vladimir Putin (Olycom)

Lucca, 7 aprile 2017 -  Oliver Stone è affascinato dal potere. Da Alessandro Magno a Fidel Castro e George W. Bush, il regista e sceneggiatore tre volte premio Oscar indaga i meccanismi con cui i leader si sono formati, i loro condizionamenti. Svelando, infine, quello che sta dietro il sipario dei potenti. È l’obiettivo anche del suo prossimo lavoro, “Conversation with Putin”, un documentario (atteso per il 2018) che contiene una lunga intervista allo “zar” dove, per la prima volta, «il presidente parla in inglese, senza mediazioni degli interpreti». Stone ieri è sbarcato a Lucca, dove stasera ritirerà il premio alla carriera del Lucca Film Festival ed Europa Cinema. Con una filmografia che comprende capolavori come “Platoon” (1986), “Wall Street” (1987), “Jfk - Un caso ancora aperto” (1991), Stone resta uno degli autori più controversi di Hollywood.

«Siamo andati a Mosca per un anno e mezzo – racconta il regista in conferenza stampa a Lucca –. Ho girato 4 ore di interviste che saranno poi suddivise in 4 segmenti da un’ora. Insieme abbiamo discusso degli argomenti più rivelanti e importanti di questi tempi; dall’Ucraina alla Siria, ai rapporti con gli Stati Uniti. Putin è un uomo estremamente razionale, che soppesa bene le parole e conosce il valore della riflessione, non è emotivo come Bush e Trump». Lo “zar” è solo l’ultimo potente che l’autore americano ha inquadrato con la sua telecamera. Lungo la sua carriera, Stone, che pure rifiuta l’etichetta di regista “politico”, ha cercato di raccontare la storia attraverso gli uomini e le loro vicende personali. «Voi in Italia avete i Pasolini e i Bertolucci, che pur con pochi mezzi hanno fatto film di denuncia; negli Stati Uniti, al contrario, sarebbe impossibile fare un film disinteressandosi dell’aspetto commerciale», osserva il regista. Eppure, le sfide lanciate al pubblico da Stone non sono mancate. Perché, a fronte dei successi dei grandi film sulla storia americana – dal filone del Vietnam all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy – altre sue fatiche sono state accolte in modo contrastato. È il caso dei due documentari su Fidel Castro, che sono stati completamente censurati negli Stati Uniti visto l’argomento tabù. Poi, nel 2008, “W.”, satira spietata su George W. Bush che ebbe problemi distributivi enormi, perché metteva alla berlina l’allora presidente americano.

Non è stato facile imporsi al botteghino anche per il recente “Snowden” (2016), sulla talpa del Datagate che ha rivelato i segreti dello spionaggio Usa, e ora è nascosto in Russia. Un emblema del contropotere. «Un eroe che ha sacrificato la sua vita per rivelare a tutti informazioni essenziali», lo definisce Stone, che dipinge gli Usa post-11 settembre come un Paese dove le informazioni faticano a circolare libere e dove vige la regola del sospetto tra gli apparati statali. E ora che è arrivato Trump? Al presidente tycoon, Stone, poco dopo l’elezione, aveva concesso un’apertura di credito. Ma ora sembra finita. «Le sue scelte, soprattutto sul tema del clima, stanno andando nella direzione sbagliata – chiude Stone – e anche in politica estera si sta dimostrando ottuso e ignorante, tanto quanto lo sarebbe stata Hillary Clinton se fosse stata eletta. Però, non pensate che gli Usa siano retti dal presidente: sono gestiti da una burocrazia e un apparato che si perpetua nel tempo e ha una propria agenda. Guardate anche Obama: doveva essere il presidente della pace, invece anche lui ha esportato la guerra».