La situazione è grave e il punto di non ritorno si approssima, ma se agiamo subito
non è troppo tardi per salvare gli oceani. Anzi, potremmo farcela in trent'anni, riparando i danni inferti agli ecosistemi e riportando la vita marina
a fiorire entro il 2050. Come riuscirci lo spiega un vasto studio
pubblicato su Nature, condotto in collaborazione dagli scienziati di sedici università di tutto il mondo che hanno delineato un piano d'azione per la rinascita degli oceani.
Salvare gli oceani, ora o mai più
"Siamo a un punto in cui possiamo decidere tra lasciare in eredità un oceano sano e pieno di vita
o un oceano rovinato in modo irreversibile", spiega
uno degli autori principali dello studio, Carlos Duarte della KAUST; "Il nostro studio documenta i recuperi di popolazioni marine, habitat ed ecosistemi ottenuti grazie agli interventi di conservazione messi in atto negli ultimi anni. E fornisce raccomandazioni specifiche,
supportate da prove scientifiche, per applicare soluzioni verificate su scala globale".
Cosa possiamo recuperare?
Un caso di intervento che si è rivelato efficacie è la moratoria sulla caccia alle balene: le megattere per esempio
erano state predate fino quasi all'estinzione, ma oggi il loro numero è in ripresa. Duarte avverte che l'obiettivo non è quello di ricreare ecosistemi del passato ormai perduti, ma piuttosto di migliorare nei prossimi decenni lo status quo
aumentando le popolazioni delle specie marine esistenti, gravemente ridotte di numero.
Lo studio ha individuato nove elementi chiave si cui intervenire
per ricostruire la vita marina: le paludi salmastre, le foreste di mangrovie, le fanerogame marine, le barriere coralline, le barriere di ostriche, la pesca, la megafauna e il mare profondo.
L'elefante nella stanza
Lo studio indica poi le linee guida per le azioni da intraprendere a livello internazionale, da parte di stati e comunità, per raggiungere il traguardo di ripristinare la vita marina entro il 2050. Ma ogni intervento sarà inutile se non si affronta contemporaneamente il problema principale: "
L'elefante nella stanza è il cambiamento climatico", dice Duarte, "specialmente per ecosistemi vulnerabili come le barriere coralline e le foreste di kelp". Raggiungere gli obiettivi fissati dall'Accordo di Parigi è quindi la condizione prima e fondamentale per salvare la vita degli oceani.
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