Lunedì 8 Luglio 2024
LUIGI MANFREDI
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Moccia: "Addio ai brividi della notte prima degli esami"

L'amarezza dello scrittore: "Il Coronavirus ha depotenziato questo rito di passaggio"

Federico Moccia

Federico Moccia

Roma, 9 maggio 2020 - "È come se il mondo che andava a duemila avesse grippato il motore. I ragazzi di oggi si sono trovati a dover scendere, e andare a piedi". Federico Moccia, l’autore di "Tre metri sopra il cielo", il romanzo che i liceali degli anni ’90 nascondevano sotto il banco, quasi fosse un canto proibito sull’adolescenza, vede così il mondo di oggi. Come uno di quei motorini truccati degli anni ’70 che, lanciati nel rettilineo, fondevano il motore. E in fondo, non ha torto. 

Moccia, lei come ha vissuto la sua maturità?

"Ero al liceo Villa Flaminia, a Roma: nella classe superiore, c’era il mio grande amico Paolo Bonolis. Feci la maturità il 22 luglio 1981, il giorno del mio compleanno. Non ero un secchione, ma andò bene: i professori si divertirono a sentirmi spaziare fra i classici greci e gli autori italiani. Presi il massimo dei voti".

La maturità costituiva davvero un rito di passaggio?

"Sì. Ed era un rito vissuto insieme: con i compagni di liceo passammo un mese studiando, discutendo, ridendo, trovando consonanze, accarezzando sogni e progetti per il dopo".

Con la maturità di quest’anno, che cosa si perderà?

"Forse, proprio la percezione della potenza di questo rito di passaggio: mancherà la sua sacralità. E forse, anche la paura della ‘notte prima degli esami’, in cui facevi in qualche modo un bilancio della tua vita".

Qual era il confine più importante da attraversare?

"Quello fra una vita gestita da altri – genitori, professori, orari – e una vita da gestire in proprio, all’università, padroni del proprio destino. Il passaggio dalla dipendenza dai ‘grandi’ all’indipendenza, all’autocontrollo. Questo è il grande senso della maturità". 

La commissione esterna che effetto le faceva? 

"Mi piaceva l’idea di confrontarmi con persone nuove, che vedendo un alunno mai visto in un’ora dovevano scoprirlo".

Come vede i ragazzi di oggi, quelli del lockdown, dello studio online?

"Dirò una cosa controcorrente: mi sembrano più maturi di noi. Sono cresciuti, prima della pandemia, viaggiando tanto. Hanno scoperto aspetti del mondo, con la tecnologia, che noi non immaginavamo neppure. Il nostro mondo aveva confini più ristretti: ci guardavamo solo tra di noi".

Cosa manca loro? 

"Il professore visto come autorità, che è severo ma ti fa crescere. E mancherà loro il ‘viaggio della maturità’, come facemmo noi, in otto in un camper verso la Grecia".

A che cosa le fanno pensare, questi adolescenti con la mascherina? 

"Provo molta pena per loro. Immagino per esempio chi aveva iniziato una storia da poco, magari da due settimane, e si trova privato del suo sogno. Cercare di alimentare questo amore, non farlo morire, sarà la sua prova di maturità". 

E i suoi amori come erano, in quell’alba di anni ’80?

"Un disastro. Timidissimi, idilliaci, pieni di sogni, di desideri irrisolti, di dichiarazioni mai fatte davvero. E quella che ti piaceva tanto era, come da copione, innamorata di un altro".