Roma, 23 gennaio 2025 – Emilia Pérez a valanga: tredici nomination all’Oscar per il film di Jacques Audiard, compresa una nomination storica a Karla Sofía Gascón, che potrebbe essere la prima attrice transgender a vincere la statuetta come miglior attrice protagonista. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo potrebbe essere il premio che fa la storia, ancor più in un momento come questo, in cui il presidente degli Stati Uniti proclama che “ci saranno solo due generi, maschile e femminile”, contro il riconoscimento di altre identità di genere. Karla Sofía Gascón, nata a Madrid 52 anni fa, con la sua storia, con il suo successo, è lì a contraddirlo. Come sono lì a contraddire Trump l’intero Emilia Pérez, il musical del regista francese Jacques Audiard (72 anni) i cui protagonisti sono quei messicani tanto avversati dal nuovo-vecchio presidente Usa, e le 2 nomination “pesanti“ (attori maschili pragonista e non protagonista, Sebastian Stan e Jeremy Strong), del film su The Donald The Apprentice, che lo stesso Trump aveva cercato di bloccare.
Per l’Italia una delusione: Vermiglio, il film di Maura Delpero girato in dialetto fra le montagne del Trentino, è fuori dalla cinquina per l’Oscar al miglior film internazionale. Niente neppure per Guadagnino con Challengers e Queer. È invece candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista Isabella Rossellini, suor Agnes in Conclave di Edward Berger; nella pellicola – 8 candidature – tratta dal bestseller di Robert Harris che vede protagonista Ralph Fiennes c’è anche molta Italia nel reparto costumi, con il lavoro di supervisione di Ilaria Marmugi a fianco di Lisy Christl, candidata per il costume design, e col lavoro di Riccardo Penko, designer delle 500 croci cardinalizie del film. Dieci le nomination a The Brutalist: il film di Brady Corbet Leone d’argento a Venezia, interpretato da un Adrien Brody mai così intenso dai tempi del Pianista è il vero competitor del film di Audiard. Approdato ieri in alcune sale italiane, The Brutalist è uno straordinario racconto/fiume di 215 minuti su un architetto ebreo scampato ai lager, approdato in America, e qui ideatore di un ambizioso, geniale, tragico progetto: la costruzione di un enorme centro multifunzionale. È una storia di immigrazione, di genio, di lotta contro i mecenati, di orgoglio e pregiudizi. Anche questo film parla all’America delle frontiere e dei muri di Trump.
C’è anche poi molta, moltissima musica, nelle nomination. Oltre a Emilia Pérez, c’è l’impressionante Bob Dylan-Timothée Chalamet di A Complete Unknown di James Mangold, 8 nomination, da ieri nelle sale italiane. E c’è il musical Wicked – altro monito contro l’autoritarismo – che di nomination ne ha ottenute 10, a partire da quelle alle attrici Cynthia Erivo (tra le migliori protagoniste: a proposito, nulla di fatto per Jolie-Callas né per la coppia Swinton-Moore del Leone d’oro Almodóvar) e Ariana Grande (non protagonista). A completare il quadro dei film con più candidature (5) The Substance, il body horror con Demi Moore – 62 anni, candidata come miglior attrice, già vincitrice di un inatteso Golden Globe – e Anora. Palma d’oro a Cannes, Anora di Sean Baker ci porta a Brighton Beach, fra i gangster russi e ermeni di Brooklyn, fra divertimento sfrenato e sentimentalismo inatteso. Nomination per Mikey Madison come miglior attrice, e come non protagonista per l’ottimo Yura Borisov. È meno forte la presenza femminile, fra le registe – candidata solo solo la francese 48enne Coralie Fargeat per The Substance, e c’è sempre solo lei, come regista donna, fra i 10 titoli in corsa come miglior film: riassumendoli sono Emilia Peréz, The Brutalist, Wicked, Conclave, A Complete Unknown, Dune 2, The Substance, Anora poi – con 3 nomination – I’m Still Here (Sono ancora qui) di Walter Salles sui desaparecidos brasiliani e Nickel Boys (2) di RaMell Ross.
Importanti anche le nomination al miglior film internazionale. Oltre ai bis di Emilia Pérez (perché parlato in spagnolo) e I’m Still Here, ci sono The Girl with the Needle, film in bianco e nero dello svedese Magnus von Horn denso di rimandi al grande cinema espressionista e Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof. Il regista iraniano racconta una storia emblematica sulle spinte libertarie e le reazioni repressive nel suo Iran. Da cui, dopo il film, è dovuto scappare, condannato a cinque anni di reclusione e alla fustigazione. Una fuga compiuta a piedi, che ha fatto approdare il regista in Germania, dove adesso vive in esilio.