Andrea
Martini
Tra i tanti misfatti perpetrati contro l’infanzia ve n’è uno, rimasto nell’ombra, consumato nell’impeccabile Svizzera dai primi del ‘900 fino agli anni Sessanta. I figli dei senza dimora, dei girovaghi e degli zingari venivano sistematicamente sottratti alle famiglie e destinati a istituti creati per la loro rieducazione. Un’etica carità rabbrividente. Ce la fa scoprire, Giorgio Diritti, autore sensibile a ogni marginalità (“Ligabue“) che s’applica con generosità alla vicenda del nomade Lubo, artista di strada di etnia Jenisch. Epopea di gesta non proprio eroiche. Arruolato di forza nell’esercito, non appena sa che i figli sono finiti nelle mani dell’Agenzia cantonale, Lubo diserta. Astuto, violento, seduttore seriale, con ogni genere d’espediente cercherà fino alla fine la progenie. Il romanzo a cui “Lubo“ s’ispira (“Il seminatore”, Mario Cavatore, Einaudi) era già fluviale: la sceneggiatura invece di selezionare accumula. Dentro i 181 minuti della pellicola ci sta un film di normale durata che, pur senza entusiasmi, si fa apprezzare. Il problema è che Diritti, anziché assolverlo personalmente, lascia allo spettatore il compito di estrarlo.
“Holly“ è un romanzo di Stephen King ma purtroppo niente ha che fare con l’omonimo film della regista olandese Fien Troch. La protagonista di Holly è una quindicenne silenziosa tenuta a distanza dalle compagne. Un mattino avverte che non andrà a scuola. Fa bene perché l’edificio va a fuoco e muoiono in molti. Da quel giorno si mette a consolare le famiglie a lutto. Né strega né santa. Saranno i Paesi Bassi ma la piattezza impera. Da vedere la domenica pomeriggio in tv, se fuori piove.