MIlano, 1 settembre 2017 - Diceva Cesare Pavese che l’arte moderna è, in quanto tale, un ritorno all’infanzia, perché il suo motivo perenne sta nella scoperta delle cose e questo processo può avvenire, nella sua forma più pura, solo nei ricordi di gioventù. Tutti concetti che Nina Zilli scolora, più o meno intenzionalmente, in “Modern art”, quarto album in studio di una carriera in bilico tra palcoscenico e tv. "A essere sincera, avevo un po’ paura di quel titolo" ammette lei, 37 anni, all’anagrafe Maria Chiara Fraschetta, "ma l’ho voluto lo stesso per mettere l’accento su due elementi contrastanti; da un lato l’idea di modernità intesa come suono, e dall’altro il mio concetto di vita moderna, diametralmente opposto a quello comunemente inteso. Per me la modernità sta, infatti, nella lontananza dal wi-fi, dalla connessione ovunque comunque, nella riscoperta del piacere di passeggiare sotto una luna piena capace di sedurti anche se spunta tra i palazzi di Milano. Insomma, una condivisione vera, non social, tra esseri umani come mi capitava da bambina, quando ogni novità rappresentava una festa".
Il che, tradotto, in un manuale d’istruzioni per il produttore Michele Canova significa "entrare dentro ad un suono autentico, capace, nel posto giusto e al momento giusto, di prenderti per mano per portarti lontano". Tutto con una (debita) premessa: "Quando parlo di suono ideale non penso a quello dei miei dischi, ma ad ‘Otis Blue’ di Otis Redding".
Qual è l’esempio di arte moderna a cui accosterebbe le canzoni di questo album?
"Penso a qualcosa di urbano, non imprigionato in un santuario dell’arte. Il booklet dell’album l’ho disegnato tutto io attingendo alla modernità di Milano che sta in zona Arco della Pace, il quartiere in cui abito. E proprio sulla pagina dov’è riportato il testo di ‘Domani arriverà (modern art)’, il pezzo che intitola il lavoro, c’è il famoso dito medio di Cattelan".
In “Butti giù” se la vede con J-Ax, “Mi hai fatto fare tardi” porta la firma, tra gli altri, di Tommaso Paradiso di TheGiornalisti, ma nel disco c’è pure un rifacimento de “Il mio posto qual è” di Ornella Vanoni.
"L’ho scelta perché penso sia un ponte musicale magnifico tra gli anni Sessanta e i Settanta. Il testo semplice, ma super attuale, perché capita spesso di sentirsi un pesce fuor d’acqua, soprattutto ad una come me che vive di passato e di vinili. Una costantemente fuori posto. Basta pensare che mi sono votata a WhatsApp solo dopo averlo visto usare a mio padre".
“Il punto in cui tornare” è dedicato al produttore Carlo Ubaldo Rossi, scomparso un anno e mezzo fa.
"È stato uno dei primi a credere in me, e l’ho sempre considerato una specie di papà musicale. Penso che la scrittura musicale abbia una valenza curativa, perché aiuta a metabolizzare cose. A volte, mentre scrivi, non ti rendi neppure conto perché ti sono uscite certe parole, ma quasi sempre alla fine tutto trova una ragione".
Esaurita l’esperienza di ‘Italia’s got talent’, cosa le piacerebbe fare in tv?
"Presentare un programma con Luca e Paolo. Magari un varietà. I gusti un po’ retrò e l’amore per Mina mi spingerebbero a dire qualcosa alla ‘Studio 1’. Diciamo che uno ‘Studio 2.0’, sarebbe fantastico".
Lei vive a Milano, ma sta con l’ala della Fortitudo Bologna Stefano Mancinelli.
"Essere fidanzata con il capitano della mia squadra di basket del cuore significa unire due passioni in una; la terza, ovviamente, è Bologna, città che amo musicalmente, culturalmente e… sportivamente. Anche se poi ho preso la tangente della musica, infatti, pure io ho iniziato come cestista".