Affrontare le trasformazioni della quotidianità, cercando di accogliere il nuovo, anche quando non riusciamo a percepirne i possibili sviluppi. Aprirsi, avere famigliarità con gli scenari inediti che la tecnologia, soprattutto, offre ogni giorno, stupendoci, di fronte ai nostri occhi. Una continua occasione di conoscenza e di confronto che sarà al centro della lettura che Paolo Legrenzi, professore emerito di scienze cognitive all’Università Ca’ Foscari di Venezia terrà domani (ore 11,30) nell’Aula Magna di Santa Lucia a Bologna. L’iniziativa fa parte dei festeggiamenti per i 70 anni dalla fondazione della rivista Il Mulino, avvenuta nel 1954. Non siamo angeli. Solo uomini alle prese con mondi nuovi è il titolo dell’intervento di Legrenzi, fresco autore del libro L’intelligenza del futuro. Perché gli algoritmi non ci sostituiranno (Mondadori).
Professor Legrenzi, cosa provoca in noi l’avvicinamento ai ‘mondi nuovi’?
"Spesso è una esperienza traumatica, ci fa possedere dall’ansia, dalla sofferenza, cambia completamente la nostra percezione della vita di tutti i giorni. Perché affrontiamo i mondi nuovi con gli strumenti di quella che chiamo ’psicologia popolare’. Servirebbe, invece, un approccio scientifico"
Ci spieghi.
"L’invenzione delle macchine non è un fatto recente, penso alle prime ricerche sull’astronomia, e ogni volta che l’umanità ha avuto a che fare con i ‘mondi nuovi’ non ne ha mai inizialmente percepito le potenzialità. Dobbiamo invece conquistare la consapevolezza che questi strumenti sono al nostro servizio e ci possono aiutare non solo da un punto di vista tecnico, ma anche a sviluppare la nostra creatività".
Lei che rapporto ha con l’intelligenza artificiale?
"Mi affascina e mi diverto anche a utilizzarla per fini apparentemente ludici. Le faccio un esempio. Questa mattina ho chiesto a Gemini (una delle applicazioni più note di IA) di comporre una poesia su di me in relazione alla lettura che terrò a Bologna. E Gemini ha creato un componimento molto interessante, ha evocato parti di me che in genere non emergono. È il mondo nuovo, anche se in questo caso con un’applicazione pensata per giocare, nel quale dobbiamo imparare a vivere".
Ci sono immagini che, secondo lei, meglio esprimono questo senso di disagio?
"Certo. Penso a un film capolavoro come Tempi moderni di Charlie Chaplin. Eravamo nel 1936 e il povero Charlot deve adattarsi alla catena di montaggio di una fabbrica. Ecco, noi oggi di fronte all’intelligenza artificiale siamo spaesati come lo era lui di fronte a una realtà che poi diventerà la normalità. Iniziamo quindi a cambiare atteggiamento. È vero che la nostra abitudine alla tecnologia rischia di semplificare troppo il nostro modo di ragionare, e anche di influire sulle capacità della nostra memoria, ma è una contemporaneità che dobbiamo affrontare".
Perché l’intelligenza artificiale a molti fa così paura?
"Perché alimenta il nostro timore più profondo, espressione proprio della psicologia popolare. Quello che, se concediamo troppa confidenza a una macchina, sarà poi lei ad avere il sopravvento, finendo per sostituire il cervello umano. Non accorgendoci invece di quante poesie che nessuno ha mai scritto e mai scriverebbe potrebbe comporre su di noi".