San Lorenzo, una chiesa sconsacrata nel sestiere di Castello a Venezia, è luogo musicale per eccellenza. Qui sono stati sepolti il teorico principale della ricerca del suono del Rinascimento,
Gioseffo Zarlino, da Chioggia, Matteo d’Asola (entrambi erano
stati cappellani della vicina chiesa di San Severo), nonché il protagonista dell’opera barocca Francesco Cavalli che qui concluse il suo clamoroso viaggio musicale, in cui aveva attraversato i destini di molti personaggi classici, da Didone a Eliogabalo. Dal 26 al 29 gennaio 2024 la Biennale riprende per quattro repliche in questo luogo magnifico, che ora si chiama Ocean Space – Tb21, ed è consacrato a ricerche e attività sui mari, un titolo principale della sua storia musicale recente, il Prometeo di Luigi Nono, su testo di Massimo Cacciari, ispirato a fonti diverse, con un’architettura sonora di Renzo Piano e la ripresa delle “luci di ghiaccio”, originariamente elaborate da Emilio Vedova.
La “prima“ del lavoro, che aveva suscitato approvazioni e critiche, era stata il 25 settembre 1984, dirigeva Claudio Abbado. Ora sul podio della complessa compagine sonora c’è Marco Angius, specialista di territori del Novecento e del presente, a capo dell’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto, con solisti (tra cui Roberto Fabbriciani e Giancarlo Schiaffini, che avevano partecipato alla creazione), Alvise Vidolin ai live electronics, attori, cantanti e il coro del Friuli Venezia Giulia. L’ evento, che è un progetto speciale dell’Asac, ossia dell’archivio della Biennale, è una occasione unica per tornare nell’arca del suono, rivivendo questa esperienza radicale dell’ascolto. All’epoca i cronisti usarono termini diversi per descrivere questa straordinaria architettura sonora, che ha la forma di una nave a cui debba essere messo il fasciame, e allo stesso tempo di un liuto. Il compositore ribadiva in quegli anni la sua filiazione dalla grande tradizione di San Marco, di cui aveva ripercorso gli spazi. La linea dei cori spezzati dei Gabrieli e di Adrian Willaert, che aveva studiato con passione fino dalla giovinezza, seguendo le tracce del suo maestro Gian Francesco Malipiero.
La natura dell’opera è nel sottotitolo “tragedia dell’ascolto”, sacro mistero senza una religione di riferimento, teatro musicale senza azione scenica, avventura dell’essere umano nei moventi della creazione, evocando l’eroe della trasformazione, del cambiamento, figura per eccellenza della rivoluzione, come aveva indagato acutamente il mitologo Furio Jesi. L’assoluta necessità del silenzio portava alla richiesta di interrompere il traffico delle barche, che annullavano i pianissimi al limite del percettibile. L’esperienza per lo spettatore era quella dell’immersione nel grembo del suono, che come nelle antiche pratiche della Cappella marciana veniva da direzioni diverse e si riuniva in uno dei livelli della macchina architettonica inventata da Piano.
Nono – del quale il 29 gennaio 2024 ricorre il centenario della nascita – era giunto a questa creazione tramite un lungo percorso preparatorio, scandito da numerosi lavori precedenti. L’ascoltatore è chiamato a un cimento, che prevede l’abbandono delle categorie preconcette di ascolto. Come recita il testo: "ascolta non vibra qui ancora un soffio dell’aria che respirava il passato? Non resiste nell’eco la voce di quelle ammutolite? Come nel volto dell’amata quello di spose mai conosciute?".