Sabato 27 Luglio 2024

Nell’agosto di Virzì, il crepuscolo dell’Italia

A Ventotene dopo 28 anni: intellettuali e “burini“ si scontrano ancora. Vincono l’ignoranza e i social, mentre la sinistra è al confino

Giovanni

Bogani

uesto film è un bilancio sul tempo che passa, ma anche una riflessione su me stesso e sul mio rapporto col tempo", dice Paolo Virzì. "È un film su due famiglie in cui non arriva certo la maturità, casomai diventano più fragili. Ed è anche una riflessione su me stesso e sul mio rapporto con il tempo. Non a caso lo presento nel giorno in cui compio sessant’anni: chi avrebbe mai pensato di arrivarci?".

C’è molto dell’Italia di oggi in Un altro Ferragosto, il film di Paolo Virzì – scritto insieme a Carlo Virzì e Francesco Bruni – in uscita giovedì, a 28 anni di distanza da Ferie d’agosto, di cui è in certo modo il sequel. Nel primo film – era il 1996 – si incontravano e scontravano, sull’isola di Ventotene, due clan di amici. Degli intellettuali progressisti, "di sinistra", stretti attorno al giornalista Silvio Orlando e alla sua compagna Laura Morante, e un gruppo di “burini“ danarosi e volgari, con Ennio Fantastichini, Piero Natoli e la moglie Sabrina Ferilli. Seguivano scintille, tensioni, provocazioni, amori, crisi.

E oggi? Quale Italia viene fuori? Destra e sinistra ci sono ancora, o meglio: da una parte il giornalista impegnato e indignato interpretato da Silvio Orlando c’è sempre, ma è come se tutto attorno a lui si fosse consumato, insieme alla sua stessa vita. E dall’altra c’è ancora Sabrina Ferilli, ora con Christian De Sica, e ci sono ancora quelli che "non si occupano di politica", ma il cui disimpegno è già una scelta di campo. Intorno, influencer da un milione di views a ogni diretta Instagram – Anna Ferraioli Ravel – e matrimoni filmati ad uso dei follower. A sinistra, rimangono le chitarre un po’ scordate. E appare un matrimonio omosessuale, anche se il mito della inclusività è già luogo comune, ipocrisia: la bella Eva Stockholma dice alla influencer bruttina "Il tuo successo è un segnale body positive, le influencer strafighe sono una narrativa tossica, tu invece sei l’antidoto…", travestendo da complimento un’umiliazione.

Che Italia è quella di Un altro Ferragosto? Un’Italia stanca, con un’ombra di crepuscolo della vita e dell’umanità, stesa addosso a tutto il film. C’è un po’ tutta l’Italia di oggi: le frasi della politica divenute meme, luoghi comuni – "il globo terracqueo" – le prepotenze, i piccoli abusi edilizi sui quali sorvolare, l’ignoranza della Storia. L’influencer non sa che a Ventotene sotto il Ventennio gli oppositori al fascismo venivano mandati al confino. E proprio il tema del confino degli antifascisti diventa centrale. Con un parallelo, sottopelle, con il presente. Come se fosse tutta la sinistra, oggi, a vivere in una specie di confino: con la sua attenzione alle parole – anche qui, come nel primo film, c’è il momento "le parole sono importanti" – con il rifugio nello yoga, con i vestiti dimessi.

"Ar giorno d’oggi, fascismo, antifascismo, che cosa sono?" dice provocatoriamente Vinicio Marchioni, omofobo, fisicato, tatuato, maschilista. "Io non ho niente contro l’omosez, io manco lo voglio sapé cosa fate…", e intanto giù palate di discredito. Ma tutti, proprio tutti nel film, rivelano insospettate fragilità. C’è speranza? Forse solo negli occhi di un nipotino, che ascolta attento il nonno raccontare, tra un’amnesia e l’altra, la storia degli antifascisti confinati sull’isola.

"Sì, è un film sulla morte – continua Virzì – , non dobbiamo aver paura di questa parola. La morte fa parte della vita". E spiega: "L’idea del sequel la avevo sempre lasciata perdere. Dicevo che due amici indimenticabili, parte essenziale di quel primo film, Ennio Fantastichini e Piero Natoli, non ci sono più. Ma a Bologna, a presentare il restauro di quel film, uno spettatore si alza e mi chiede: “Ma davvero ha paura ad affrontare il tema della morte?“. Mi ha colpito. Di notte ho sognato i confinati di Ventotene e, con loro, Ennio e Piero. Piero mi diceva: “Dai, non fare il prezioso!“. Ed eccoci qua". "Il lutto è diventato un asse del racconto", dice Virzì. "Così come la storia dei confinati di Ventotene: sono il simbolo dell’idea fondativa della convivenza civile del dopoguerra. Tornarci oggi era importante, mentre esplodono le guerre e la democrazia è in crisi".