Nel nome di Gigi, suo grande maestro. Enrico Brignano è in scena al Sistina con ’I sette re di Roma’, già record di incassi, nel ruolo che 35 anni fa fu dello stesso Proietti. "Da allievo ho visto questo spettacolo qualcosa come 17 volte – racconta –. Sento tutta la responsabilità del caso. Non avrei mai immaginato che la vita mi avrebbe offerto la possibilità di diventare il protagonista". Dopo quasi due mesi di repliche nella Capitale, Brignano porterà la pièce – scritta da Gigi Magni con musiche di Nicola Piovani e prodotta da Vivo Concerti & Enry B – nei maggiori teatri italiani.
Da Romolo a Tarquinio il Superbo, sul palco veste i panni di miti dell’antichità. Qual è il suo rapporto con la storia?
"Conoscere il passato mi interessa tantissimo. Leggo e guardo documentari, cercando di approfondire i periodi e le tematiche che mi affascinano di più".
Scorrendo le varie epoche, chi è il personaggio che le ispira maggior simpatia e le piacerebbe interpretare?
"Pensandoci bene, Camillo Benso conte di Cavour, una vecchia volpe, figura chiave del Risorgimento italiano".
Lei è ’Romano de Roma’. Il suo rapporto con la città?
"Amore e odio, come credo il 101% dei romani. Vivere a Roma inorgoglisce, la sua bellezza è accecante, ma mi addolora lo stato in cui versa, la sporcizia anche in centro storico, i disservizi che pesano sulla qualità della vita… Eppure, mi sento romano dalla testa ai piedi e difficilmente riuscirei a rinunciare alla mia città".
Ha voluto dedicare il suo ultimo spettacolo ai giovani. Perché?
"I ragazzi dovrebbero conoscere ’I sette re di Roma’ perché, pur essendo una commedia brillante, racconta episodi storici assolutamente autentici, rievocando un mondo, un frasario e una visione dello show di cui sarebbe un vero peccato perdere memoria".
Che adolescente è stato Enrico Brignano?
"Molto coscienzioso: se oggi gli amici mi chiamano “Furio”, come il personaggio di Verdone, è perché ho sempre avuto la convinzione che l’etica e la precisione siano importanti. Certo, ho fatto anch’io le mie ragazzate, nulla però che richiedesse l’intervento delle forze dell’ordine! Preferivo esprimere l’esuberanza interpretando personaggi assurdi a beneficio di pubblici improvvisati, preferibilmente nella metro, al ritorno da scuola".
Cosa la fa più arrabbiare?
"Il pressappochismo, la noncuranza e il disfattismo. Chi non si impegna a fondo in quello che fa, qualsiasi cosa sia, mi innervosisce perché penso che siano energia – e magari anche talento – sprecati".
Il peccato che invece le ispira più indulgenza?
"Se parliamo dei vizi capitali mi sento di poter assolvere la lussuria e la gola, in fondo meno gravi di tanti altri".
Cosa apprezza in una donna?
"(ride) Siccome sono sicuro che mia moglie (l’attrice Flora Canto ndr) leggerà l’intervista, rispondo: sicuramente gli occhi e la profondità dei sentimenti".
Quanto conta per lei l’amore?
"Lo considero il motore del mondo e non mi riferisco solo a quello tra un uomo e una donna. Da quando sono padre provo un sentimento assoluto, che mi riempie il cuore e dà un senso a tutto ciò che faccio. Insomma, l’amore – come afferma Numa Pompilio nello spettacolo – è il primo di tutti gli dei!".
Che voto si dà come papà?
"Bisognerebbe domandarlo a Martina e a Niccolò. Per parte mia, cerco di dare il massimo. Spero se ne rendano conto e si sentano amati e seguiti come è giusto che sia".
Il tassello ancora mancante alla sua carriera d’artista?
"Un film in cui mostrare non solo l’ironia, dove avere la possibilità di fare l’attore non dico drammatico, ma almeno impegnato. Sarebbe una sfida interessante che prima o poi, spero, si presenterà".
Ha lavorato con tante attrici. Con chi ha trovato la miglior sintonia?
"Mi sono trovato bene con tutte le partner femminili, tranne un’artista francese che durante le riprese di un film fu molto scortese. Per il resto, devo solo ringraziare le mie colleghe. Qualche nome? Vanessa Incontrada, Paola Minaccioni, Lucia Ocone, Teresa Mannino… ma in realtà, anche tutte le altre. La lista sarebbe lunghissima!".