
William Shakespeare (23 aprile 1564 –. 23 aprile 1616
Firenze, 25 marzo 2026 – Tutte le strade portano alla Firenze del Trecento, se si vuole seguire la "pista dantesca" nel tentativo di progredire verso la soluzione di un mistero secolare: l’identità di William Shakespeare. E nel giorno del "Dantedì", in cui si celebra il padre della lingua italiana, questo filo rosso che unisce l’Alighieri al Bardo stuzzica la curiosità.
Parliamo di una delle teorie del complotto più antiche a essere sopravvissuta fino ai giorni nostri: il grande di Stratford-upon-Avon non era lui ma qualcun altro. Per gli accademici è un’idea strampalata, ma in Inghilterra la faccenda è seria perché Shakespeare è il loro Dante e, parafrasando T. S. Eliot, un terzo non c’è, tanto che da oltre un secolo esiste lo Shakespearean Authorship Trust, ente che si occupa proprio di indagare la verità dietro all’identità del Bardo. Una cosa seria: per fare un nome, c’è di mezzo il baronetto Mark Rylance, attore premio Oscar, che per dieci anni è stato direttore artistico del rinato Globe Theatre.
Ed ecco la pista toscana: proprio lo Shakespearean Authorship Trust si è interessato ai lavori degli italiani Rita Monaldi e Francesco Sorti, abituati a scrivere a quattro mani e adesso anche a sei visto che il duo è diventato collettivo con l’ingresso in squadra della figlia Theodora. Nel Regno Unito è uscita la traduzione del loro romanzo Dante di Shakespeare – Amor ch’a nullo amato, primo volume della trilogia pubblicata in Italia tra 2021 e 2024 da Solferino, in cui si raccontano Dante e la nascita della Commedia come se fossero state narrate da Shakespeare in un immaginario dramma perduto. Nelle appendici storiche del libro, Monaldi e Sorti argomentano che chiunque si celi dietro all’identità di Shakespeare deve essere inevitabilmente collegato a Dante. Era qualcuno che conosceva a fondo le sue terzine, che la Commedia l’aveva non solo letta, ma studiata e ben compresa. Una tesi che il Sat ospita sul proprio sito con un intervento di Monaldi e Sorti.
Alcuni esempi lasciano di stucco: Dante, creatore di neologismi, inventa il verbo "incielare", cioè "collocare in Cielo", e Shakespeare usa "ensky", altro neologismo di uguale costruzione e significato. Monaldi e Sorti citano anche il celebre "pane altrui" degli esiliati, che "sa di sale", nel XVII canto del Paradiso; nel Riccardo II ricorre il "il pane amaro dell’esilio". E quella differenza tra salato e amaro sarebbe addirittura una ulteriore conferma della teoria: nei commentari che circolavano all’epoca a Oxford veniva usato l’aggettivo "bitter", cioè amaro.
"Un membro del Sat, venuto a conoscenza dei nostri studi su Dante e l’identità di Shakespeare pubblicati nel terzo volume della trilogia, ci ha incoraggiati a continuare su questa linea – spiegano Monaldi e Sorti – tanto più che i brani shakespeariani con i quali abbiamo scelto di raccontare Dante mostrano singolari analogie con la Divina Commedia. Abbiamo ripreso le ricerche in questa direzione e siamo giunti a conclusioni che ora verranno pubblicate nell’edizione inglese". Presidente del Sat è il docente di letteratura inglese William Leahy, decano della Faculty of Arts alla “Brunel University“ di Londra e al “Mary Immaculate College“ di Limerick. E non ha dubbi sull’importanza del "fattore Dante": "Sono certo che gli scrittori dei drammi di Shakespeare conoscevano l’opera di Dante. E conoscevano l’italiano. Mentre così non è per Shakespeare. E questa conoscenza ha implicazioni per la nostra comprensione di chi ha scritto i drammi".
Ma allora chi era davvero il grande Shakespeare? Fra i tanti nomi che sono stati proposti nel corso del tempo (Marlowe, Sidney, De Vere, Bacon...) c’è anche il nome di Giovanni "John" Florio, angloitaliano figlio di un certo Michelangelo Florio che era – lo avrete già capito – fiorentino. Non certo un nome banale: Florio è considerato l’umanista di spicco del Rinascimento inglese. Coevo di Shakespeare (1553-1625), fu autore di celeberrimi dizionari bilingue pieni di passi della Commedia, che in buona parte si ritrovano nei drammi del Bardo con una fedeltà straordinaria all’originale dantesco.