“Sono una giovane donna moderna, liberale, dotata di senso pratico”. Questo pensava di sé Luisa: “Quindi, il mio regalo di Natale quest’anno sarà liberare gli altri dagli obblighi e dalle formalità”. Avvisò i genitori: “Preferisco saltare tutto l’ambaradan del pranzo del 25, non voglio infettarvi”. A casa loro - non erano credenti -, il Natale si celebrava con un’abbuffata seguita da malumore e pentimento per la perdita di controllo dietologico. Erano interminabili quei 25 dicembre, giornate dolce-amare perché qualche sgradevole questione di famiglia finiva sempre per saltar fuori, pur senza le scene madre che si vedono nei film, quando tutto precipita davanti ai parenti riuniti: i commensali vestiti in ghingheri, le decorazioni natalizie, l’arrosto bruciato nel forno che fa deflagrare la festa, come un’arma tossica che incendia la conversazione trasformandola in un j’accuse familiare di rivelazioni sconvolgenti.
Dai suoi, niente di così incendiario: il Natale era solo noioso, a volte un po’ agro per qualche recriminazione femminile, o lei, o la sorella, la madre, la prozia tirannica, di rado la nonna ormai completamente smemorata. Donne affaticate e umorali, a fronte della calma dell’unico uomo, l’imperturbabile padre di Luisa, interessato soprattutto al dialogo col cane, cui passava prelibatezze sotto al tavolo.
Così, aveva abbandonato i parenti all’insalata russa della mamma, agli agnolotti della prozia, al cappone ripieno di fegatini e castagne, al panettone, al caffè, all’ammazzacaffé.
“Via, basta, voglio stare leggera”. Si era rifugiata a casa del nuovo fidanzato, mandandolo tuttavia a festeggiare il Natale con l’ex moglie e i tre figli. “Vai, vai pure amore, per me è un giorno qualsiasi, ci vediamo più tardi, così io lavoro, leggo, guardo un film, guardo un documentario, ti riordino il cassetto del bagno”. Mentre tutti si dedicavano allo stanco rito sociale natalizio, lei avrebbe ottimizzato la giornata, rinunciando alle chiacchiere inutili, alla mangiata ammazzante, a preparare e poi sparecchiare, a mettere via gli avanzi, a mangiare poi quegli avanzi per giorni. “Faccio pure la figura della buona, della generosa, della libertaria. Due piccioni con una fava. Lo conquisto definitivamente”, pensava Luisa.
Massimo era uscito poco dopo mezzogiorno, e poi il tempo aveva cominciato a scorrere, s’erano fatte le una, i telegiornali parlavano solo di pranzi di Natale e allora Luisa s’era infastidita e aveva spento la televisione, e poi il tempo era passato ancora un po’. Saranno al secondo o al dolce, aveva ipotizzato. I suoi l’avevano chiamata: “Ci manchi ma ti capiamo, è una storia nuova, è giusto che passi il Natale con lui”, e non aveva certo rivelato di averlo spedito dalla ex famiglia. E poi erano le tre, “Starà per tornare” pensava, mentre per le scale e nel cortile si sentiva un certo trambusto, la gente usciva dalle case, dai pranzi, sciamavano ridacchiando, e c’era pure il sole, e s’era messa al computer con le sue tabelle Excel, ma niente, di lavorare non aveva l’energia mentale, e poi aveva iniziato un film, sembrava bello ma allora era meglio guardarlo con Massimo, e niente, non aveva voglia nemmeno di pulire cassetti, nemmeno di leggere, la realtà è che si sentiva sola, ma proprio sola, la persona più sola di tutta l’Italia. “Perché non sono con i miei? Perché Massimo non torna, sono le quattro, quanto dura il dannato pranzo di Natale a casa sua?”. Cominciava a scocciarsi. Un po’ scocciata e un po’ depressa. S’era infilata nel letto. Mezzo vestita, sentiva freddo. Non aveva nemmeno mangiato, chi ne aveva voglia?
Le cinque passate, buio pesto nel cielo, fari delle auto per strada. Sarà morto? Ma ecco la serratura che scattava, eccolo entrare, chiamarla, lei non rispondeva, “Luisa”, “Luisa”, lei niente, per farlo spaventare, sentire in colpa, qualcosa insomma. “Cosa fai qui?” le chiese, sedendosi sul bordo del letto. Lei, il trucco mezzo sbavato sul cuscino, piagnucolava: “Il Natale più brutto della mia vita, cattivo, cosa hai fatto fino ad adesso? Sono venuta da te, invece che restare con i miei, tutti erano con qualcuno, e tu sparisci per ore”.
“Ho aiutato a sparecchiare e mettere a posto”, aveva cercato di giustificarsi Massimo. “È passato mio fratello a salutare. I miei figli erano tanto felici”. Si era sdraiato accanto a lei, che recriminava per la solitudine in cui era stata abbandonata. “Ma puzzi d’aglio, che schifo. Invece di tornare di corsa, perché sai che sono sola mentre tutti festeggiano, mangi pure l’aglio”, s’era indignata. “Scusa, mia figlia mi ha preparato le bruschette con tanto amore, sa che mi piacciono. Non potevo mica rifiutarle”. Aveva la voce impastata, come gli ubriachi. “Forse ho bevuto un po’ troppo, mi continuavano a versare vino, erano così felici di stare con me, mi vedono così poco”.
“Devi sapere una cosa”, annunciò Luisa. Stava per dirgli: Ho appena capito che non ti amo.
“Non voglio mai più passare un Natale da sola”, si corresse.