Roma, 3 dicembre 2016 - TUTTO merito del primo ministro della Groenlandia. E di Paolo Sorrentino. Quella scena della serie tv di Sky “The Young Pope” in cui Jude Law-Pio XIII ascolta il 45 giri di “Senza un perché” regalatogli dall’avvenente premier nordica interpretata da Carolina Carlsson, ha restituto Nada Malanima alla memoria di una canzone (d’autore) che domani la catapulta nel salotto televisivo di Fabio Fazio assieme ai suoi quarantotto anni di hit-parade. La voce di Nada accompagna, infatti, la sequenza finale del 4° episodio, mentre Law si affaccia dalla finestra per godersi lo spettacolo di Piazza San Pietro illuminata nella notte. Un’immagine folgorante, che un mese fa è bastata da sola a spedire “Senza un perché” al vertice della classifica di iTunes. La presenza di una hit come “Ti stringerò” nella colonna sonora di un altro evento cinematografico come “Jeeg Robot” non aveva riservato all’imperscrutabile cantante livornese, 63 anni appena compiuti, la stessa visibilità di questa canzone del 2004 relegata prematuramente tra le tante gemme dimenticate di una produzione che, album dopo album, continua a meritare molto di più di quanto effettivamente raccolto. È COSÌ: la poesia dell’immagine di “The Young Pope” e del suono low-fi di “Senza un perché”, crea un’atmosfera fuori dal tempo capace di scatenare fantasie. Quelle che l’ex «usignolo di Gabbro», l’eterna ragazzina di “Ma che freddo fa” e la scrittrice impegnata di romanzi, insegue su e giù dal palco flirtando con campioni della scena indipendente italiana, da Mesolella e Spinetti degli Avion a Cesare Basile, da Mauro Pagani a Massimo Zamboni, agli Zen Circus, a Mauro Ermanno Giovanardi, ai Criminal Jokers, fino alla A Toys Orchestra coprotagonista del suo ultimo show (il 10 dicembre è a Foligno).
Nada, l’ha sorpresa il rumore alimentato da “The young pope” attorno alla sua canzone?
«Ho sempre considerato “Senza un perché” una bella canzone, inserita fra l’altro in un album molto forte quale “Tutto l’amore che mi manca”, grazie anche alla produzione di John Parish (collaboratore pure di PJ Harvey, Eels e Tracy Chapman, ndr). Certo, ritrovarmela in classifica dopo tutti questi anni è un po’ inaspettato, ma bello».
Cosa può aver colpito Sorrentino?
«Forse la semplicità di quel pezzo, la sua bella sonorità pop, ma anche il testo e la capacità di dire qualcosa di profondo con leggerezza; qualità che s’è un po’ persa in questi anni. Ho sempre pensato, infatti, che una bella parola può migliorare una musica non trascendentale, mentre una brutta parola può rovinare anche la miglior musica».
Qual è stato per lei il disco di svolta?
«Ho sempre scritto i miei testi, ma non mi bastava. Così il primo album in cui mi sono messa totalmente in gioco è stato forse “L’anime nere” nel ’92, di cui ho firmato pure le musiche».
Soddisfatta del riscontro avuto da “L’amore devi seguirlo”, il suo ultimo disco «autarchico, autoprodotto, autoscritto, autotutto».
«Sì, anche se come tutti i miei ultimi dischi avrebbe potuto godere di un’esposizione maggiore, arrivare a un pubblico un po’ più vasto. I miei li prendo sempre e sono felice, ma purtroppo allargare il pubblico non è facile. In giro non c’è una gran possibilità di scegliere; i media passano solo alcune cose, ignorando, o quasi, il resto. Mi sono, però, conquistata un mio spazio e utilizzo quello».
In “All’aria aperta” canta: «Tira un vento che mi fa male tra le ombre della luce che acceca le persiane». Qual è ora il vento che fa male?
«L’ingiustizia. C’è sempre stata, ma oggi forse ce n’è troppa. I dislivelli sono aumentati e davanti a questo vento ci si sente impotenti. La vita è una sola e dovrebbe essere dignitosa per tutti, ma così non è. Credo però anche nella capacità che hanno le persone di reagire. Quindi non perdo una certa fiducia nel domani».