Venezia, 6 settembre 2024 – “Era solo ipnosi? Forse; forse non solo”. Se lo chiede Joe Wright, il regista chiamato a raccontarci un pezzo della nostra storia. Quanto il fascismo sia ancora oggi materiale sensibile lo dice la cronaca politica, per non parlare di Mussolini che, purtroppo, agli occhi di molti prima d’essere un personaggio storico da conoscere è un brand da agitare. Per gli storici di professione la figura non ha segreti ma a tutti gli altri manca il racconto dell’individuo.
I recenti libri di Antonio Scurati – i tre volumi della serie M., pubblicati da Bompiani – hanno stabilito un contatto tra il duce e i comuni lettori il cui numero, nonostante il successo editoriale, resta esiguo. Probabilmente otterrà una platea ben più larga M. Il figlio del secolo: serie tv che trae spunto dal primo di quei volumi. Prodotto da Sky, in onda in otto puntate all’inizio del 2025, M. è un vero e proprio film che copre le vicende mussoliniane dalle prime schermaglie socialiste all’imposizione del regime, esattamente cent’anni fa.
Presentato in anteprima alla Mostra ha incollato gli spettatori alle sedie ben più di molte pellicole. D’altronde se il dittatore ha sedotto una nazione per vent’anni la sua rappresentazione schermica, assai lontana da quella ridicola dei cinegiornali d’epoca, non può, al di là di eventi drammatici, non avvincere.
Il merito va al regista e agli sceneggiatori (Stefano Bises e Davide Serino) che ne fanno una maschera italiana, che agisce poco di persona ma che in compenso urla, comanda, strepita, sottomette, promette e tradisce. Un uomo simbolo cui all’epoca i nostri connazionali credettero: per convenienza e paura. Ma soprattutto perché Mussolini in ogni occasione seppe far intravedere agli italiani più lontani dai privilegi il riscatto di destini meschini.
Tutto questo è reso possibile da una straordinaria e diremmo titanica interpretazione di Luca Marinelli che al duce qui somiglia fisicamente per un trucco efficace e intimamente per un impressionante calco della psicologia. “Ogni mattina – ha spiegato l’attore – prima di arrivare sul set mi sbarazzavo del mio antifascismo e lo riabbracciavo la sera, tornando a casa”. Affermazione meno paradossale di quel che non si creda.
I primi e primissimi piani del duce-Marinelli rendono la sua figura familiare soprattutto perché la scelta di farlo rivolgere, in una serie di siparietti stranianti, direttamente al pubblico (come il Frank Underwood di House of Cards) funziona magnificamente. Mussolini commenta le proprie azioni, comunica dubbi e paure, rende esplicito cinismo e freddezza. Come accade nella notte che precede la marcia su Roma o nell’assassinio di Giacomo Matteotti, finendo per ricordare scomodamente i tratti di un carattere italiano che vorremmo dimenticare. Tuttavia il rischio dell’eccesso di simpatia per l’antieroe, genere Scarface, esiste e forse qualche perplessità l’estrema personalizzazione la suscita.
Nei volumi di Scurati (che daranno spunto al proseguimento della serie) Mussolini, salvo che nelle prime pagine, è raccontato in terza persona mentre in M. Il figlio del secolo Mussolini è uno e trino: io narrante, io agente, io giudice. Questa concentrazione, se da un lato consuma il personaggio nel discredito, dall’altro sottrae spazio alla critica del singolo spettatore.
Il desiderio di storicizzare il nostro passato (che spesso non passa) e rendere il ventennio assumibile senza traumi dalle nuove generazioni, è auspicabile. Che a fornirne gli strumenti possa essere il Mussolini di Marinelli non deve stupire. Soprattutto ricordando le parole dello stesso duce che, a proposito di dittatori, non esitava ad ammonire: “Ogni epoca ne ha uno”.