Nel 2013 le stelle marine sono state colpite da una improvvisa e inspiegabile moria di massa, che ha cancellato intere popolazioni a partire dal Pacifico nord-orientale e ha ridotto alcune specie sull'orlo dell'estinzione. Da tempo gli scienziati si arrovellano inutilmente per capire le cause del fenomeno, noto come sea star wasting disease, sindrome da deperimento delle stelle marine, e anche i tentativi di identificare come causa di questa epidemia un agente patogeno, in particolare un virus, si sono rivelati inconcludenti. Adesso i ricercatori della Cornwell University hanno avanzato una nuova ipotesi: le stelle marine fanno sempre più fatica a respirare. È come se stessero "affogando".
La stelle marine affogano senza ossigeno
Le stelle marine soggette alla sindrome
mostrano diversi sintomi: perdono turgore, si scoloriscono, sviluppano rigonfiamenti e lesioni, i raggi si torcono o si attorcigliano. Secondo gli studiosi questi effetti insorgono quando gli asteroidei si trovano in un ambiente impoverito di ossigeno: "Gli esseri umani respirano, portano aria nei polmoni e la espirano",
spiega il professor Ian Hewson, "Le stelle marine invece assorbono l'ossigeno attraverso piccolo strutture sulla superficie esterna del loro colpo, le papule.
Se non c'è abbastanza ossigeno intorno alle papule, la stella marina non riesce a respirare".
I batteri rubano l'ossigeno alle stelle marine
Quando si verificano determinati cambiamenti nell'oceano, fra cui l'innalzamento della temperatura dell'acqua, viene prodotta
una quantità anomala di materiale organico, composto dagli scarti e dalle escrezioni delle microalghe e dello zooplancton, e dalle sostanze disperse dai corpi degli animali in decomposizione. Con una tale sovrabbondanza a disposizione, i batteri che si nutrono di questo materiale organico
proliferano consumando ossigeno e sottraendolo alle stelle marine.
"Se c'è una stella marina morta in putrefazione di fianco a una stella marina sana", dice Hewson, "tutte quelle sostanze si diffondono e alimentano i batteri, creando un ambiente povero di ossigeno. In questo modo
si ha l'impressione di una malattia che si diffonde". Non siamo ancora di fronte alla soluzione definitiva della sea star wasting disease, ma secondo i ricercatori la loro scoperta cambia il campo di indagine: non basta concentrarsi solo su un eventuale patogeno, come si è fatto finora, ma "bisogna
tenere conto anche di altri microrganismi che non sono causa diretta della patologia".
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista
Frontiers in Microbiology.