Verona, 4 maggio 2020 - Per la prima volta le sue donne non hanno volto. Corpi seducenti, ma facce nascoste dalla mascherina anti contagio che lascia scoperti solo gli occhi. "Non cambia molto, ho sempre pensato che il massimo dell’espressività arrivasse proprio da lì: lo sguardo è fascinazione", spiega Milo Manara, maestro dell’illustrazione e del fumetto, nume tutelare della letteratura disegnata.
Come sono le sue celebri donne al tempo del virus? "C’è un’immagine che riassume il momento: una ragazza di spalle, la coda di cavallo che filtra dalla cuffietta e le mani guantate poggiate solidamente sui fianchi. Ha un atteggiamento di sfida. Senza paura fronteggia un grande sole violaceo, livido, spaventoso. È il Covid 19, l’alieno piombato con un rombo minaccioso a distruggere le nostre vite. Quella ragazza è uno dei medici in prima linea, a cui dobbiamo un immenso grazie".
Un’eroina disegnata senza viso e senza nome? "In realtà un nome ce l’ha e bisogna ricordarlo. Si chiama Annalisa Malara, l’anestesista trentottenne di Codogno che ha diagnosticato il primo caso italiano di contagio. Così come non dobbiamo dimenticare le due ricercatrici dello Spallanzani a Roma che hanno isolato il Coronavirus".
Tutte donne di trincea... "Verissimo. All’inizio mi ero concentrato sulle eroine della sanità, poi ho capito che dovevo allargare il tiro".
Facciamo un passo indietro. A marzo, in una intervista al Washington Post, lei si era definito "unable to work in quarantine", incapace di lavorare. Un mese e mezzo dopo sta invece per uscire un portfolio con i suoi disegni, il ricavato delle vendite devoluto a tre ospedali. Cosa ha determinato il cambio di passo? "All’inizio è stato uno choc. Io e mia moglie Luisa eravamo a Verona quando progressivamente sono arrivate le notizie della pandemia. Davanti alla tv ci guardavamo increduli e angosciati. Sembrava un film di fantascienza. Allo scoppio del focolaio a Vo’ Euganeo, prima che scattasse il lockdown abbiamo preso armi e bagagli e ci siamo rifugiati in campagna nella casa di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Io ero sbigottito, non riuscivo a raccogliere le idee".
Finché? "Mia figlia che ci porta la spesa ha raccontato delle cassiere del supermercato, senza protezione come i sanitari. Eppure sono rimaste lì al loro posto per senso del dovere, a fronteggiare l’arrembaggio. Così come le donne carabiniere, vigili del fuoco, poliziotte, in servizio con le ambulanze, farmaciste, fornaie, contadine, operaie in fabbrica, postine, operatrici della Protezione civile. Donne risolute e determinate, pronte alla guerra. Tutte bellissime".
E così Manara ha ripreso la matita in mano. "È stato come recuperare una dimensione naturale: ho reagito alla sgomento raccontando a mio modo quello che accadeva. Guardando i volti segnati dalle mascherine sono venuti fuori ritratti fatti di coraggio, forza, abnegazione".
Il prossimo disegno? "Una guardacoste. Riprendono gli sbarchi e mi chiedo: come verrà gestita la migrazione con il virus in atto?".
Non è l’unico problema. L’economia di imprese e gente comune va a rotoli. "Passato il periodo in cui si pensava solo a salvare la pelle, si fanno i conti con le tasche. Molte aziende sono senza soldi, commissioni, clienti. Lo stesso per i negozianti, le botteghe: il lavoro di una vita finito in briciole. Trump attacca la Cina e non ha tutti i torti, io vedo che la forbice tra ricchi e poveri si allarga a dismisura: la grande speculazione fa affari d’oro con il virus".
Oggi per molti scatterà la semilibertà. Che cosa pensa un uomo sensibile come lei, una persona di 74 anni? "Mi rendo conto di essere nella fascia più a rischio, la prudenza sarà la parola d’ordine anche per i mesi futuri. Ma soprattutto avverto un senso di precarietà che credevamo di aver sconfitto, costruendo una società solida e inaffondabile. Non era così se è bastato un pipistrello a mettere tutto in discussione. Siamo il Titanic che è andato a sbattere contro un iceberg e purtroppo le scialuppe non basteranno per tutti".