Roma, 26 dicembre 2024 – Il mistero di un piede (in decomposizione) in una scarpa, su una spiaggia dell’Australia. La scienza proverà poi che appartiene a Melissa Caddick, 49enne accusata di una truffa milionaria, sparita a novembre 2020. Giallo irrisolto. Perché il corpo della donna non è mai stato ritrovato.
Capita anche questo se la scena del crimine (presunto) è in acqua. E chi si è occupato di quell’indagine - tuttora un enigma: suicidio, omicidio, messinscena? - per mettere qualche punto fermo nella storia si è dovuto riferire alle ricerche di Paola Magni, biologa naturalista specializzata in entomologia forense e aquatic forensics, talento italiano fiorito però dall’altra parte del mondo, a Perth, in Australia, docente alla Murdoch University.
Le abbiamo chiesto di svelarci le regole delle indagini... in profondità.
Professoressa Magni, qual è il legame tra le sue ricerche e il piede di Melissa Caddick?
“Avevo lavorato sulle scarpe in acqua. Un progetto americano, in collaborazione con la Boston University. La polizia ci metteva a disposizione la stazione subacquea. Dunque, ho comprato 128 paia di scarpe eleganti e altrettante da ginnastica e le ho messe in mare, controllandole ogni due settimane, per verificare come venivano colonizzate dai cirripedi o da altra fauna”.
Alt, spieghi: cosa sono i cirripedi?
“Invertebrati marini, siamo abituati a vederli sulle chiglie delle navi o sulle tartarughe. Danno informazioni interessanti, quando si attaccano non si staccano più e iniziano a crescere. Più grandi sono e più vecchi sono, ma a che velocità sono arrivati alla loro dimensione dipende dalla temperatura dell’acqua. Funziona come per gli insetti, fanno sempre parte dello stesso gruppo degli artropodi. L’altra cosa interessante: i cirripedi sono diversi a seconda delle zone del mondo. Quindi, se trovo un cadavere in Italia e i crostacei che lo hanno colonizzato vivono in Messico, vuol dire che quel cadavere si è fatto un bel giro”.
Così per far ‘parlare’ il piede di Melissa Caddick hanno fatto riferimento a quei suoi studi bostoniani?
“Proprio così. Era la prima ed è ancora l’unica ricerca su come le scarpe vengono ‘colonizzate’. All’inizio tutti mi prendevano in giro. Ma poi... Con il mio gruppo lavoro moltissimo anche sugli abiti, perché nella maggioranza dei casi i cadaveri vengono trovati vestiti, e abiti e scarpe possono nascondere tante prove interessanti per ricostruire gli eventi”.
Dunque fa ‘parlare’ corpi e cose che si trovano in acqua anche da molto tempo?
“Sì, e per farlo utilizzo le conoscenze di archeologia subacquea e biologia marina sui casi forensi. In collaborazione con il WA Shipwrecks Museum di Perth, ad esempio, usiamo le collezioni di oggetti ed ossa di mammiferi, non umane, che sono state recuperate dagli archeologi marini per collezione. Per loro fino ad oggi era interessante sapere che cosa mangiavano i marinai sulle navi. Per noi, quelle ossa si comporteranno più o meno come quelle umane. Non dobbiamo chiedere permessi speciali, lavoriamo per analizzare cosa succede dopo che sono rimaste sott’acqua per un periodo. Abbiamo trovato ad esempio le incrostazioni superficiali di certi organismi. E la colonizzazione interna di altri. Abbiamo pubblicato per la prima volta le informazioni. Una ricerca che servirà per i ritrovamenti futuri”.
Quali casi ha seguito in Italia?
“Tra i primi l’omicidio avvenuto sul lago di Bracciano. Federica Mangiapelo viene trovata morta la notte dopo Halloween. Il fidanzato è considerato da subito come sospetto. Lui si difende: abbiamo litigato, lei è andata a casa a piedi, l’ho lasciata per strada, non ho fatto niente. Ho lavorato sui vestiti del sospetto. Li ho analizzati per la presenza di un certo tipo particolare di plancton, lui aveva detto di non essere stato al lago. Non sapevo cosa indossasse quella notte, ho messo sotto la lente del microscopio tutti i vestiti. Alcuni sono risultati positivi alla presenza del plancton di quel lago. Ed erano proprio gli abiti indossati la sera dell’omicidio. Stiamo parlando del gennaio 2013, c’era un unico lavoro scientifico in Olanda”.
Insomma siete stati dei pionieri?
“Di fatto sì. Ma in acqua si possono verificare tante situazioni, la decomposizione è più complessa da analizzare. La temperatura dell’acqua e il suo movimento hanno effetto sullo sviluppo del rigor mortis e su altri parametri che vengono di solito usati per stimare i tempi di morte. Il corpo viene spesso mangiato dai pesci o si trasforma in adipocera, queste alterazioni complicano le indagini. Però se galleggia ci sono tutta una serie di crostacei che si attaccano alle parti dure, ad esempio se ci sono ossa esposte, oppure ai vestiti o alle scarpe”.
E torniamo ai cirripedi.
“Nascono come larve nel plancton, quando trovano qualcosa di solido si attaccano. Possono dirci se il corpo è rimasto sul fondo del mare o ha galleggiato”.
Quali sono le difficoltà delle indagini in acqua, rispetto alla terra ferma?
“Si passa dal difficile all’estremamente complesso. Intanto la scena del crimine è tridimensionale, c’è la profondità. E poi bisogna considerare anche il movimento e le correnti. Spesso il primo problema è capire dove si trova il corpo. Perché l’acqua lo sposta quasi di sicuro. A meno che non sia incastrato o legato a qualcosa. Magari si sa che qualcuno si è buttato da un ponte ma non si sa dove affiorerà. A volte non si trova il posto. Per dire: l’aereo della Malasya Airways MH370 non è mai stato rinvenuto. Se invece trovo il cadavere, la prima domanda che mi devo fare è: da dove arriva? Non solo. Ci sono tanti tipi di acque diverse. Da quella del bagno a quella del pozzo, dalla piscina al mare, dal fiume al lago. L’acqua può anche arrivare dal cielo per un’alluvione, in quel caso si mescola con il fango”.
Quali competenze servono per le indagini in acqua?
“Sono tante e diversificate. Ci sono i forensic divers, subacquei esperti di scienze forensi, pochissimi al mondo. Si immergono e iniziano a utilizzare quello che trovano come scena del crimine. Scattano foto, possono anche prendere le impronte digitali, tutto sott’acqua. Chiaramente non c’è un ‘perimetro’, come a terra. I sommozzatori, ad esempio quelli dei vigili del fuoco, recuperano i cadaveri o altri oggetti legati alla scena”.
E lei, invece?
"Io resto in laboratorio, o in obitorio. Posso dare istruzioni sulle cose da fare o da evitare. Per esempio, posso chiedere di non recuperare il corpo con un gancio ma con una body bag acquatica, per evitare di perdere qualcosa. Mi è capitato il caso di un cadavere in un pozzo, nell’estrarlo con un gancio le gambe si sono staccate, hanno dovuto recuperarle dopo. Se nelle gambe c’eraun pezzo di pantalone con il portafoglio e i documenti, ci siamo persi tutto. Così la mia richiesta al pm era stata: recuperate tutta l’acqua del pozzo. Ho avuto taniche e taniche da filtrare, con tutti gli insetti attaccati al corpo che erano caduti nell’acqua”.