Domenica 22 Dicembre 2024
Carla Maria Casanova
Magazine

Maurizio Pollini, quell’ultima (e prima) volta alla Scala

Ritratto dell’icona del pianismo italiano e non solo: gli anedotti che fanno parte della storia

Maurizio Pollini, addio ad una leggenda del pianoforte (Ansa)

Milano, 23 marzo 2024 – E’ morto, nella sua casa milanese, Maurizio Pollini. Aveva 82 anni compiuti il 5 gennaio. Accanto a lui la moglie Marilisa e il figlio Daniele. La camera ardente sarà allestita nel ridotto inferiore del Teatro alla Scala. Maurizio Pollini: leggenda del pianismo italiano. Ma non solo. La sua vita musicale inizia presto. L’ambiente familiare ha buoni precedenti artistici: il padre Gino Pollini architetto razionalista, la madre Renata Melotti, sorella dello scultore Fausto. Maurizio manifesta doti precocissime: a 15 anni si classifica secondo, su 222 candidati, al Concorso Internazionale di Esecuzione Musicale di Ginevra (primo premio Martha Argerich). Quanto a premi, ne annovera alcuni storici, almeno i primi tre divenuti epocali: dopo Ginevra, nel 1959 vince il Concorso Ettore Pozzoli di Seregno e nel 1960, a 18 anni, il mitico Concorso Chopin di Varsavia.

Qui gli aneddoti fanno parte della storia. Come le parole di Alfred Rubinstein, membro della giuria: “Questo giovane suona tecnicamente già meglio di tutti noi” . E Piero Rattalino, critico musicale esperto di pianismo, dopo aver assistito all’esecuzione di 4 Studi di Chopin, “Questo giovane, o diventerà il più grande pianista del mondo, o finirà in manicomio.” (Gli Studi sono noti per la loro estrema difficoltà tecnica e eseguirne 4 in concorso, in così giovane età fu, all’epoca, un fatto senza precedenti). Forse è attribuibile a Rattalino anche la celebre frase: “Pollini non ancora del tutto maturo? Se lo fosse di più sarebbe marcio.” Quanto a Premi, si sprecano: tra gli ultimi, nel 2000, fu il primo pianista a vincere il premio Benedetti Michelangeli al Festival di Brescia e Bergamo intitolato a Michelangeli.

Il giovane Pollini era comunque anche insolitamente saggio. Alle offerte che gli piovvero addosso dal mondo intero dopo la vittoria a Varsavia, rispose negandosi perché non si riteneva pronto a iniziare gli stress della carriera e doveva anche formarsi un repertorio adeguato. Insomma, doveva studiare. Risultato non rincuorante: dopo due anni di “ritiro”, quando incominciava ad essere pronto per affrontare il pubblico, il mondo commerciale lo aveva bell’e dimenticato. Intraprese allora un corso di perfezionamento con Arturo Benedetti Michelangeli, il vate assoluto del pianismo. Le lezioni non durarono molto in quanto persino Michelangeli dichiarò che “a Pollini c’era ben poco da insegnare”. Inoltre Pollini si accorgeva che avrebbe preso un indirizzo di sudditanza nei confronti del Maestro, mentre lui aveva ben preciso in sé il modo di suonare.

Il suo rapporto con la musica era inequivocabile e lui agiva di conseguenza. “Come possiamo sapere se abbiamo compreso il senso di una musica? Dall’emozione che ci procura. E’ un criterio soggettivo, eppure è l’unico che funziona veramente". Magari gli furono utili gli esercizi della “magnifica diteggiatura per i trilli” che usò per tutta la vita.

Da allora la carriera di Maurizio Pollini prese la grande via internazionale, né c’è Paese che non l’abbia richiesto, ed avuto – dal 1968 gli Stati Uniti, dal 1974 il Giappone - per esibizioni sempre entusiasmanti. Non disdegnò neppure gli spazi popolari, vedi il Palazzetto dello Sport di Cinisello.

Di Maurizio Pollini si ammirava anche la vastità del repertorio e il coraggio di eseguire e sostenere la musica contemporanea, campagna che condusse con Claudio Abbado, amico strettissimo. Nel 1980 debuttò nella direzione d’orchestra, dirigendo al Rof di Pesaro "La donna del Lago”. Pollini era sposato con Marilisa Marzotto, conosciuta a 11 anni a una lezione di armonia. Marilisa, rimasta sempre nell’ombra è, a detta di molti, una pianista a livello del marito. Hanno un figlio, Daniele, anche lui pianista. 

Pollini suonò in pubblico l’ultima volta alla Scala, il 13 febbraio 2023: Chopin e Schönberg. Per la prima volta sul leggìo c’era lo spartito.