Dal Mein Kampf a Donald Trump il passo può essere breve e Stefano Massini prova a dimostrarlo, transitando in poco tempo dallo spettacolo sul libro-manifesto di Adolf Hitler a un podcast (e presto, pare di capire, un nuovo monologo teatrale) sul tycoon tornato alla Casa Bianca, ma anche trovando un nesso fra le due figure, pur così diverse (a parte la comune matrice tedesca) e così distanti nel tempo. Un nesso che può turbare ma non deve scandalizzare.
Dice dunque Massini alla fine del suo monologo detto l’altra sera alle Piagge, estrema periferia fiorentina, nell’ampio container che fa da chiesa, laboratorio, doposcuola e molte altre cose nella comunità guidata da un prete seguace di don Milani e amico di don Gallo, don Alessandro Santoro: "In Mein Kampf – racconta Massini citando a memoria – Adolf Hitler scrive: “Per milioni e milioni di individui destinati al silenzio e all’oblio, la cui esistenza è degna di essere calpestata per strada come un escremento sotto il mio stivale, ne nascono pochi il cui nome per statuto naturale è destinato ad abbassare e a sconfiggere gli altri, e fra quei pochi ne nasce uno chiamato a comandare ben oltre la melassa stantia dei parlamenti con le loro liturgie. La democrazia è una menzogna. Perfino nel gioco degli scacchi esiste un solo re e numerose sacrificabili pedine. La partita continua fino a che il re è lui solo salvo. Le pedine possono ben morire. La democrazia è l’anticamera del baratro“. Queste parole vengono scritte nel 1924 e noi oggi, a distanza di un secolo e un anno da queste parole, ci troviamo con un uomo che negli Stati Uniti d’America, complice la tecnologia che gli viene fornita da Elon Musk e complice la quantità di risorse che ha a disposizione, sta facendo la stessa identica cosa".
Niente slogan, dunque, ma un ragionamento d’insieme e un forte allarme sì. Qualcosa di molto pericoloso, dice Massini, sta avvenendo sotto i nostri occhi. Gli Stati Uniti del 2025 non sono la Germania alla vigilia del nazismo, e però il ritorno di Donald Trump, con la foga di un secondo mandato ottenuto con largo consenso e promettendo (o minacciando) svolte epocali, per Massini dev’essere osservato, capito e anche contrastato. Seduto dietro a un tavolino, quasi assediato dalla gente che ha riempito la chiesa-container e dai tantissimi rimasti fuori al freddo ad ascoltare grazie all’amplificazione esterna, Massini è andato avanti per oltre un’ora a braccio, con disinvolta sicurezza, come se avesse già mandato a memoria il testo, e sentendosi a proprio perfetto agio nonostante la ressa: le Piagge, d’altronde, sono casa sua, lì abita la sua famiglia, e con la comunità di don Santoro c’è un legame di lungo corso.
Perché occuparsi di Trump, dunque? Perché "conoscere – ha esordito il drammaturgo, neo direttore a Firenze del Teatro della Pergola – è già un modo di reagire e di circoscrivere il trauma. E perché dobbiamo capire come siamo arrivati ad avere Trump alla Casa Bianca. Un presidente che già ci pone davanti all’incredibile, a ciò che non si potrebbe credere, come la fotografia diffusa in questi giorni dei migranti prigionieri e in catene che salgono su un aereo per la deportazione".
Il racconto parte da New York e da un tassista che anni addietro si trova a passare davanti alla casa dove Trump è nato e la mostra al passeggero Massini. Siamo in una New York minore, il quartiere del Queens, al cospetto di una serie di villette in stile tedesco che a suo tempo furono appunto abitate da immigrati dalla Germania, compresa la famiglia Trumpf, come allora si chiamava. Lì Donald è nato il 14 giugno 1946.
Segue l’epopea dell’ambiziosissimo figlio e nipote di piccoli imprenditori immobiliari, con la strabiliante ascesa, l’attitudine a mentire e violare le regole più fastidiose, l’accumulo di un’immensa ricchezza e la messa a punto di un personaggio che merita d’essere studiato e capito, fa intendere Massini, per una precisa ragione: in un paio di momenti cruciali Trump interpreta con feroce determinazione lo spirito dei tempi, estremizzando e condensando nella propria persona tendenze in atto nella società.
Sono due i passaggi chiave. Il primo è quando Trump, spiega Massini, "dismette la propria umanità e diventa un marchio", depositando il proprio nome, la propria faccia e la propria vita come brand commerciale, in modo che chiunque – pagando – possa giovarsi del suo successo, della sua popolarità, magari chiamando “Trump“ un agglomerato di villette o un grattacielo di appartamenti di lusso. Così Trump interpreta e cavalca la mercificazione del mondo, tipica del capitalismo neoliberista.
Il secondo passaggio è più recente, riguarda il Trump ormai divo televisivo, conduttore di un reality show modellato sulla sua stessa figura (è The Apprentice, dove i concorrenti sono “preparati“ a essere imprenditori come lui e il premio per il vincitore è l’assunzione in una delle sue aziende), e protagonista della stagione dei social network, che esalta molte sue caratteristiche: l’uso spregiudicato della menzogna, lo smisurato narcisismo, l’ammirazione per i ricchi e per la ricchezza, il disprezzo per la diversità. "Nella politica trasformata in reality show – dice Massini – Trump da brand commerciale si trasforma in logo politico. Lui non fa politica, lui è la politica. Lui non rappresenta gli Stati Uniti d’America, lui è gli Stati Uniti d’America. Non c’è opposizione possibile. Nella sua visione ci sono solo i trumpiani e quelli che ancora non sanno di esserlo". Ecco la riduzione “a uno“ dei processi collettivi, ecco la democrazia come "menzogna". Conoscere, sostiene Massini, è una forma di reazione. Non basterà.