Di quei suoi occhiali rossi e di quelle sue felpe stazzonate possiamo anche parlare, magari. Ma nel macrocosmo di Massimo Cotto – scomparso ieri a 62 anni all’ospedale di Asti, dove era ricoverato in Rianimazione a seguito dell’aneurisma cerebrale che lo aveva colpito il 9 luglio scorso – erano solo forma, gioco, apparenza, perché la sostanza stava altrove. Stava nell’intelligenza del marito, del padre di famiglia, del giornalista che sorride ora sul lato destro dei manifesti affissi sui muri di una Asti incredula, perché quello sinistro è occupato dalla linguaccia stoniana, il logo più venerato del rock, con sotto poche, semplici, parole gonfie di gratitudine. Quelle di chi gli voleva bene. "Hai occupato uno spazio bellissimo nelle nostre vite". E dove lo trovi un altro annuncio funebre così? E dove lo trovi un altro appassionato così, rock pure là dove si trova ora, come sottolinea quel Francesco Guccini intervistato proprio da Cotto in Piazza Maggiore a Bologna non più tardi del giugno scorso per il quarantennale dell’album dal vivo Tra la Via Emilia e il West, sulla sua pagina Facebook. "Caro Massimo, se sei nel vento, che soffi musica per accompagnare il tuo viaggio".
Tutto passa e tutto si trasforma, pure il ricordo, anche se per Cotto, critico, biografo, romanziere noir, speaker di Virgin Radio, autore e conduttore televisivo, direttore artistico, affabulatore teatrale, cuore granata, Cavaliere della Repubblica, ci pensano oltre settanta libri a correggere gl’inganni della memoria, gli specchi deformanti del tempo. L’ultimo è dal risvolto familiare, pure se sempre con la testa a Zeppelin e Floyd, e s’intitola Il rock di padre in figli* in cui scrive: "Tutto va via come un treno nella notte. Contano solo due cose: tu e quella canzone. Tu sei il treno, quella canzone sono le luci nella notte". Un consiglio e un monito per il figlio Francesco, arrivato diciassette anni fa a suggellare il legame con l’attrice Chiara Buratti, la sua isola trovata, conosciuta, corteggiata e amata nel 2003, sposata nel 2006 (testimone Francesco Renga), presenza irrinunciabile della vita pure, anzi soprattutto, nei momenti difficili dei ricoveri in ospedale sempre debitamente documentati sui social. Ed è proprio col pensiero a quei momenti di buio superati mano nella mano quando il destino sembrava accanirsi su di lei, che Chiara ha annunciato ieri su Facebook la scomparsa di Massimo. "Ti ho sempre detto che mi hai salvata" ha scritto. "È così. Ci siamo conosciuti che ero una ragazzina timida e astemia (questo ci tenevi sempre a specificarlo) e abbiamo camminato assieme per 21 anni. Non sempre in discesa, ma avevamo ottime gambe. La cosa che mi fa incazzare di più è che tu mi hai salvata, ma io non sono riuscita a salvare te. Continua a soffiare nel vento. Nessuno ti dimenticherà mai, nemmeno per un istante. Te lo prometto".
"Un’anima speciale" lo ricorda Mauro Repetto degli 883, un fratello "partito prematuramente e ingiustamente per il suo viaggio nell’altra dimensione" secondo Piero Pelù. Parole che crepitano in bocca come quelle usate dal Club Tenco in uno dei ricordi più veri e dolenti di queste ore. "Avevi sempre parole. Ci hai dato del tempo per preparare anche le nostre per te, ma in queste settimane noi abbiamo solo continuato a sperare. E così di parole stamattina non ne abbiamo. Solo un fiume di lacrime".