Mercoledì 8 Gennaio 2025
Luca Boldrini
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Magazine

Da Jolie-Callas al giovane Mussolini, Massimo Cantini Parrini veste il cinema e la tv

Il costumista fiorentino ha lavorato per “Maria“ di Pablo Larraín e “M” di Joe Wright. Il ricordo di Piero Tosi: “La sua eredità è viva e lo sarà per sempre”

Massimo Cantini Parrini e Angelina Jolie (Presley Ann/Getty Images)

Massimo Cantini Parrini e Angelina Jolie (Presley Ann/Getty Images)

Firenze, 7 gennaio 2025 – Vestire la Maria Callas degli ultimi giorni, alla fine degli anni Settanta, e il giovane Benito Mussolini dei primi anni Venti. Capriole concettuali alle quali i costumisti devono abituarsi, come è capitato a Massimo Cantini Parrini che ha firmato sia Maria di Pablo Larraín che M - Il figlio del secolo di Joe Wright; il primo attualmente al cinema, il secondo in onda da venerdì su Sky.

Il costumista fiorentino è ormai da tempo uno dei grandi del settore: due candidature all’Oscar, una ai Bafta, cinque David di Donatello, quattro Nastri d’argento e quattro Ciak d’oro. I premi non saranno tutto, ma, al di là dell’elenco di nomination e vittorie, qualcosa dicono di Cantini Parrini, laureato in Cultura e Stilismo della moda all’Università di Firenze. Nato e cresciuto a pochissimi chilometri dalla Sesto Fiorentino di un gigante del settore come Piero Tosi.

Cantini Parrini, come ha vestito la sua Jolie-Callas?

“Da una parte ci sono le scene di opere famose e di eventi ai quali partecipò, con una ricca documentazione fotografica disponibile; era un’icona di stile con un immenso guardaroba. Le difficoltà? Le stoffe e le stampe di una volta che non ci sono più, la differenza di fisicità tra la Callas e Angelina Jolie... Però sono felice del risultato, credo che con il team abbiamo fatto un bel lavoro. Poi invece c’è la parte creativa, dove mi sono divertito a essere lo stilista di Maria Callas: dell’ultimo periodo ci sono solo due fotografie. Infine ho affrontato i flashback, dove sono stato libero di creare, basandomi su un rigoroso studio iconografico”.

Il nero domina gli ultimi giorni della leggenda.

“Sono partito da lì, dal nero, che volevo usare come colore predominante nei momenti in cui la Callas ripercorre il suo passato, come se fosse un funerale”.

Maria Callas faceva già parte del suo mondo o ha dovuto scoprirlo dall’inizio?

“In parte sicuramente sì, ma per questo lavoro ho dovuto studiarla in profondità, attingendo a moltissime foto e video. Non certo un personaggio facile da avvicinare: nel suo lavoro la Callas è stata come Leonardo Da Vinci, ha fatto la storia. Peraltro in un mestiere difficilissimo”.

Dall’altra parte si è misurato con una miniserie Sky su Mussolini. Tutta un’altra questione.

“Di solito sono più cauto nei giudizi, ma mi permetta di dire che questa serie è un capolavoro sotto tutti i punti di vista. Certo, qui le difficoltà sono state altre. Sul fronte degli abiti il primo fascismo era un po’ raffazzonato, si vestivano con quello che avevano in casa. Il libro di Antonio Scurati però mi ha aperto un mondo sul costume di quel tempo, un mondo che non conoscevo”.

Che rapporto ha avuto col regista riguardo alla scelta dei costumi?

“Joe Wright è uno di quei registi che adorano lavorare con i costumi. Quando capita una situazione del genere per me è un grande piacere”.

In un altro film che è in sala in questri giorni, Diamanti di Ozpetek, il personaggio interpretato da Luisa Ranieri si rivolge così a un’aspirante costumista: “Vuoi fare questo lavoro e non sai nemmeno chi è Piero Tosi“. Lei di Tosi è stato allievo. Qual è la sua eredità per la sua generazione?

“È un’eredità vivente, che non morirà mai. Piero Tosi ha portato la verità nel costume del cinema: prima il divismo fagocitava tutto, mentre con lui si veste il film, si veste la realtà. È la lezione più importante che abbiamo imparato noi allievi. Una lezione importante perché il cinema è un’operazione culturale ed è importante questa accuratezza nel costume”.

Lei, allievo e concittadino di Tosi, è riuscito a non rimanere imprigionato nel suo mito?

“Per me Piero Tosi è presente in ogni momento del mio lavoro, ma non ho mai voluto emularlo. Bisogna imparare dai maestri, ma poi intraprendere la propria strada”.