Domenica 22 Dicembre 2024
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Marzano e l’ombra lunga del patriarcato: "Il consenso di una donna? A volte non basta"

Sottomissione femminile, cultura dello stupro, il post MeToo. La scrittrice va all’origine di tutto: il diritto di dare voce alla fragilità

Michela Marzano è docente di Filosofia morale all’Università 'Paris Descartes'

Bologna, 20 settembre 2023 – Il nuovo libro di Michela Marzano “Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa” (Rizzoli) mette il lettore di fronte a due nodi – sociali ed esistenziali – giganteschi. Il primo è quello del consenso che una donna dà a un uomo nella sessualità. Fin dall’inizio del romanzo – la cui voce narrante è quella della protagonista Anna, italiana, giornalista e professoressa all’Università di Parigi con un corso sul #MeToo e molestata da bambina da un maestro come ha rivelato d’esserlo stata la stessa Marzano – vengono descritti due tipi di violenze sulle donne. Quella più riconoscibile: la donna picchiata e ferita, che dice no apertamente oppure è incapace di dire no perché sotto gli effetti di alcol o droga. Poi però esiste anche un altro tipo di non-consenso della donna – meno esplicito ma egualmente devastante, dato magari da malesseri psicologici o da condizionamenti sociali – che pare non riguardare mai il maschio.

Professoressa Marzano, come si fa a far capire a un maschio che esiste anche un non consenso esplicito?

"Questo è uno dei nodi più complicati, perché uno dei tanti problemi che c’è dietro alla questione del consenso è che tante volte si consente a qualcosa che però non corrisponde poi a quello che si vive. Per me una delle frasi chiave è: a cosa si consente quando si acconsente a una relazione affettiva? Tante volte si immagina che ci sia amore, anche se questo amore in realtà non c’è. Per cui c’è proprio un fraintendimento, un punto di partenza sbagliato, che poi è tutta la storia di Vanessa Springora, l’adolescente che si era innamorata dello scrittore francese Gabriel Matzneff, molto più vecchio di lei, e che aveva acconsentito a tutta una serie di cose ma solo perché il suo consenso era legato al fatto di credere fortemente di essere amata e di essere importante. Tante volte, dentro queste ragazze, c’è il bisogno di sentirsi importanti, di essere viste, ascoltate. Ma chi poi utilizza questo loro bisogno per prendere ciò che vuole e non dare ciò di cui l’altra persona ha necessità, in realtà sta strumentalizzando la situazione, sapendo perfettamente che ciò che dà non corrisponde a ciò che l’altra si aspetta".

E non è anche questa una violenza gravissima? E come si può farne capire a tutti la gravità, come la si può sradicare?

"Intanto è effettivamente una violenza profonda perché subdola, ma tante volte non viene chiamata violenza e chi ne è vittima non viene riconosciuta come vittima, moltiplicando la situazione di sofferenza. Dopodiché, l’unico modo secondo me è proprio quello di tornare alla base: il mio libro è per le mamme, per le insegnanti, per chi accompagna le ragazze alla scoperta della consapevolezza del proprio valore. Perché uno dei problemi chiave di tante ragazze, di tante donne, è che si sono sistematicamente confrontate con situazioni in cui non si è creduto in loro. E quindi non si è permesso loro di accedere al proprio valore, non si sono dati loro gli strumenti necessari per poter mettere se stesse davanti agli altri. Di contro, sono state educate a cancellarsi e quindi a permettere la loro cancellazione da parte altrui".

Anche perché la narrazione della donna è appartenuta nei secoli dei secoli al patriarcato. E, nonostante gli innegabili progressi, è ancora così.

"Assolutamente sì, tanto è vero che ciò che poi ha messo la parola fine al #MeToo, almeno in Italia, sono stati pure i discorsi dei grandi intellettualoni di sinistra che hanno cominciato a dire: ma dai, non esageriamo. Confortati oltretutto da donne che erano state paladine della liberazione sessuale e che però hanno sottovalutato alcune volte la situazione di privilegio in cui si trovavano loro, minoranza rispetto alla maggioranza di tutte le altre donne. Quindi il problema è che non siamo ancora usciti da questa narrazione fortemente patriarcale".

Immaginava, quando ha scritto il libro, che oggi, a fronte di una Gen Z ultrasensibile su parità e inclusione avremmo vissuto – tra aumento dei femminicidi e una sorta di “noia“ diffusa che si percepisce sui media circa il #MeToo – questa fase di regressione?

"No. Perché poi anche un discorso come quello della nostra premier Giorgia Meloni: ragazze state attente perché non dovete consentire a queste bestie di fare quello che vogliono, significa di fatto colpevolizzarle, dire loro: ragazze, se vi accade qualcosa, è perché non siete state sufficientemente attente. Senza prendere in considerazione tutto ciò che accade nelle cosiddette sfere private: la maggior parte degli abusi avvengono in casa, a scuola, nelle parrocchie, quando si è troppo piccole per capire che la figura abusante, anche se è il prete, il prof, lo zio, il migliore amico di papà, sono figure pericolose e agiscono da predatori sessuali".

Altri segni di regressione?

"Intellettuali che si lamentano della criminalizzazione del cat-calling o che rivalutano certe commedie italiane anni ’80 in cui la donna era solo un oggetto sessuale. Magistrate che non condannano palpeggiamenti o molestie o coltellate perché, forse per motivi generazionali, hanno totalmente introiettato gli stereotipi che sono dietro alla maledetta cultura dello stupro. Non è in rovina solo il pianeta. lo sono anche le relazioni affettive tra i ragazzi: se vogliamo dare loro un mondo e un futuro migliore, smettiamola con di crescerli con i più retrivi stereotipi maschio/femmina”.

Altro grande nodo del suo libro è – dinnanzi all’asimmetria dei poteri – il diritto alla fragilità. Quali sono i diritti della fragilità? La fragilità ha diritto a una voce? Come si fa a darglielo? A costruirlo?

"Partendo dalla constatazione che ogni essere umano è per definizione fragile, perché se c’è una caratteristica intrinseca della natura umana è la vulnerabilità. Per tanto tempo si è “fatto come se“ non fosse vero che ognuno fosse fragile; si è “fatto come se“ bastasse volere per potere. Cancellando e nascondendo ogni fragilità. Esaltando il controllo. Quindi, secondo me, l’unico modo è ripartire proprio dal racconto di ciò che siamo, delle nostre fratture e delle nostre fragilità, per accoglierle".

L’autrice lo presenterà a Bologna venerdì all’Oratorio San Filippo Neri (ore 20,30) e sabato al Festival Francescano, in Piazza Maggiore (ore 15,30): “Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa” della Marzano, 53 anni, è un (bellissimo, profondo, commovente) libro-specchio della generazione di donne tra i 40-50-60 anni.

Ultima cosa: non dico i nostri genitori, ma gli uomini chiederanno mai scusa?

"No. Sta a noi accoglierci".