Venerdì 22 Novembre 2024
ANDREA SPINELLI
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Manuel Agnelli riparte da sé "Solista, ma per amare il prossimo"

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di Andrea Spinelli

Un concept album sul suo modo di vedere la vita. Manuel Agnelli parla del nuovo album Ama il prossimo tuo come te stesso, il primo da solista in 35 anni di Afterhours: "Volevo trovare un titolo che rappresentasse in maniera sottile le mie sensazioni – spiega – ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ è una frase potentissima, mai invecchiata. Ma è anche il tentativo di dire, come faccio nel disco, che se devo amare il prossimo poco come amo me stesso, allora forse è meglio non farlo. Da qui la copertina con sopra il mio faccione che brucia".

Quale aspetto dell’esistenza confligge di più con un titolo di questo tipo?

"L’abitudine. Ci stiamo abituando a cose mostruose e questo è tremendo. Prima l’Italia era un paese di commissari tecnici, poi d’immunologhi, ora di esperti di geopolitica. L’abitudine ci porta a razionalizzare tutto passando sopra ai diritti umani, alla vita delle persone. Ad accettare cose inaccettabili. Penso che abituarsi all’orrore sia la cosa più pericolosa perché ti annienta completamente".

E quello che l’esalta?

"La capacità di rinascere, di rinnovarsi in qualsiasi tipo di situazione. Io sono un irritante ottimista che in qualsiasi situazione cerca sempre di trovare il lato positivo delle cose. Perfino la guerra mi porta a pensare che, razionando le fonti d’energia, saremo costretti a ripensare i nostri folli stili di vita. Quando le cose diventano necessarie le prendiamo un po’ più sul serio".

Quando ha capito che le canzoni che stavano nascendo non le avrebbe condivise con gli Afterhours?

"Durante il lockdown ho realizzato delle basi utilizzando oggetti di fortuna trovati in casa come pentole, mestoli, catene, bidoni della spazzatura, pensando che, una volta in studio, li avrei sostituiti con strumenti veri suonati da altri musicisti, ma, una volta riascoltati, mi sono reso conto che mi piacevano. E ho deciso di tenerli".

Oggi che perimetro si traccia attorno l’artista?

"All’interno dell’opera d’arte è ammesso tutto perché vige la libertà assoluta, ma, al di fuori, l’artista è un cittadino come altri. E, in quanto cittadino, ha il dovere di esprimere la sua opinione e di farsi ascoltare. Anzi, ha una responsabilità in più, perché possiede un megafono che il cittadino comune non ha".

Facoltà esercitata sempre meno. Oggi l’espressione artistica è molto egoriferita.

"Il consenso è la peste del nostro tempo. Oggi anche nell’arte prima si crea consenso e poi i contenuti; anche se c’è una generazione post-punk e new wave che, mi sembra, stia invertendo la tendenza. Veniamo da trent’anni di destrutturazione culturale che ha portato la gente a perdere capacità analitica. Questo anche perché i media hanno sacrificato il loro ruolo sull’altare del fatturato, abdicando così alla loro prima responsabilità: informare".

Girano indiscrezioni su una sua presenza a Sanremo.

"Io in gara non ci vado. Anche perché il Festival l’ho già vinto con i Måneskin".

A dicembre l’attende un tour in otto club. Poi inizia a preparare la versione italiana Lazarus, il musical di David Bowie.

"Lo sceneggiatore Ezra Walsh ha detto che Bowie gli raccomandò di utilizzare dei personaggi molto forti a livello caratteriale e credo che il regista della versione italiana Valter Malosti abbia visto in me queste qualità. Per ragioni anagrafiche non avrei potuto interpretare L’uomo che cadde sulla terra, ma l’uomo che ha vissuto un sacco di compromessi e a una certa età si rende conto di qual è la realtà e accetta la propria mediocrità, sì".

Il miglior compromesso accettato in vita sua?

"La televisione. Ho imparato ad usarla acquisendo una fama e una sicurezza economica che mi hanno permesso di aprire un centro culturale, produrre proposte in cui credo e fare la mia musica in modo totalmente libero. Alla fine, sono riuscito ad uscire da quell’esperienza pulito e profumato, ma nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo".