di Francesco Ghidetti
Politico, giornalista, sindacalista, scrittore, polemista, intellettuale. Di sinistra. Due mesi fa, aveva dichiarato: "Essere di sinistra ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena". Ma, proprio nel giorno in cui Macaluso ci ha lasciati, ci piace sottolineare come queste cose (la sinistra, il senso della vita politica, la militanza appassionata, il lavoro culturale) non fossero frutto solo di interviste ai giornali ma anche di post sui social.
Proprio così: il quasi centenario dirigente comunista usava la Rete come un giovanotto di belle speranze (lui, che aveva rischiato di non superare la giovinezza per aver contratto la tubercolosi a 16 anni), senza falsi snobismi e con la cognizione di come online corressero le idee. E dire che di idee e di azione la vita di Macaluso è stata piena.
Dopo gli studi a Caltanissetta (dov’era nato il 21 marzo 1924) all’Istituto minerario Sebastiano Motta, il futuro dirigente si era iscritto al Partito comunista d’Italia. Correva l’anno 1941. Dopo la guerra, di pari passo con “il Partito”, ci fu il sindacato. Macaluso era il leader regionale della sua Sicilia dal 1947 al 1956 della Cgil, sia di quella unitaria che di quella di orientamento comunista dopo la formazione della Cisl e della Uil. Proprio il primo maggio del 2019, Macaluso, coppola d’ordinanza in testa, parlò a Portella della Ginestra, laddove si consumò, nel 1947 la strage di lavoratori a opera del bandito Salvatore Giuliano, della mafia (da cui ebbe sempre noie più o meno esplicite) e di settori deviati della nascente Repubblica Italiana. Uno snodo fondamentale della storia del nostro Paese che, secondo gli studiosi più avvertiti, è l’inizio di quella strategia della tensione che caratterizzerà quell’Italia con il più grande Partito comunista dell’Occidente.
La sua biografia è comunque piena di altri avvenimenti. Impossibile riportarli tutti. Mostrava una curiosità intellettuale rara anche in quel Novecento così ricco di idee. Amico fin da giovane di Leonardo Sciascia, fu ammirato sostenitore della sua opera e, al tempo stesso, avversario deciso di fronte a certe scelte dello scrittore. Bastano queste parole, dettate in occasione dell’uscita di un bellissimo saggio (Leonardo Sciascia e i comunisti, Feltrinelli 2010) per capire il rapporto tra i due: "Ho scritto queste pagine perché sentivo di avere un debito con Leonardo. Il tema della giustizia è il cordone ombelicale che a lui mi ha legato per questi settant’anni, anche nei momenti di forte dissenso". Ancora: Macaluso non trascurò alcuna forma di scrittura. In pochi sanno che scrisse un ’giallo’ (I Santuari) per Panorama a inizi anni Ottanta (poi ristampato da Castelvecchi nel 2014): una chicca che parlava di trame occulte e poteri forti. Con protagonisti riconoscibilissimi. Un racconto che provocò, raccontano, perplessità nei dirigenti del Pci di allora che non apprezzarono (e glielo dissero...) le sue ’allusioni’.
E poi c’è il Macaluso più intimo. Che, anche in questo caso, pagò duramente le sue scelte. Come quando finì in prigione per adulterio. Era il 1944. Fu condannato a sei mesi. Ma non finì lì perché, dieci anni dopo, fu denunciato ancora per una complicata storia di figli e il rischio di beccarsi ben otto anni. Giorgio Amendola, altro leggendario dirigente comunista, decise di prendere in mano la situazione. Macaluso restò nascosto per mesi in un casolare a Vignola. In Cassazione andò tutto bene, ma Macaluso rammentava ancora con trepidazione, decenni dopo, quel periodo terribile.
Parlamentare dal 1963 al 1992, direttore dell’Unità, aveva aderito al Pds dopo la fine del Pci. Un’adesione convinta per un uomo annoverato, col fraterno amico Giorgio Napolitano, tra i “miglioristi”, l’ala riformista, la “destra” comunista che voleva l’alternativa di sinistra. Mai aderì al Partito Democratico, anche se ne scrisse un saggio profetico: Al capolinea. Controstoria del Partito Democratico.