Giovedì 4 Luglio 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

L’ultimo Gregoretti . Film postumo nelle sale. Il figlio: "Un omaggio all’Italia più innocente"

“Io, il tubo e le pizze“ fu girato dal regista nel 2018, un anno prima della morte "Lo sguardo di papà sa cogliere con grande empatia gli aspetti comici della vita".

L’ultimo Gregoretti . Film postumo nelle sale. Il figlio: "Un omaggio all’Italia più innocente"

L’ultimo Gregoretti . Film postumo nelle sale. Il figlio: "Un omaggio all’Italia più innocente"

È un film delicato e gentile, ironico e lieve. Si chiama Io, il tubo e le pizze. Il pronome “io“ riguarda il signore che vediamo nel film, Ugo Gregoretti, soave e pungente regista di cinema e di televisione, scomparso nell’estate del 2019, a 88 anni. Ha fatto in tempo, l’anno precedente, a girare questo ultimo film, prodotto dalla Achab di Enzo Porcelli, produttore gentile e illuminato. Il film è visibile quest’estate sul grande schermo in una serie di proiezioni evento. È un bel modo – vedere questo ultimo film – per conoscere Gregoretti, e il suo sguardo sottile, ironico, empatico sulla gente.

Io, il tubo e le pizze – il tubo è quello catodico dei vecchi televisori, le pizze sono quelle della pellicola – ci mostra Gregoretti passeggiare per Villa Borghese, a Roma insieme al figlio Filippo e alla moglie di lui, Tai Hsuan Huang. Il regista è stanco, cammina a fatica – spesso su una sedia a rotelle – ma è intellettualmente vivacissimo. Conversando con figlio e nuora, senza averne l’aria introduce gli spezzoni di interviste realizzate per il programma della Rai Sottotraccia, all’inizio degli anni ’90, più due estratti in bianco e nero da due suoi film del 1960. Come scrisse nelle note di regia, Gregoretti intendeva mostrare "la sintesi del mio percorso creativo e professionale e delle opere da me realizzate per la tv (che ne hanno innovato il linguaggio) e per il cinema."

Quello che vediamo è sorprendente. Uno spaccato d’Italia spumeggiante di bizzarrie, piccole ossessioni di provincia, stranezze. C’è un’asta di muli, offerti al miglior offerente da una caserma di Alpini, con immenso dolore di alcuni sottufficiali; c’è un coiffeur di mucche, che le pettina, e ne incolla i capezzoli divergenti, per metterli più in ordine prima di una sfilata; un signore di Milano che ce l’ha con i preti, e li picchia con un tubo di gomma; un napoletano che crea parrucche Madonne; le impiegate di uno stabilimenti della Hatù, che produce preservativi, con relativi test di resistenza. C’è anche un’intervista ad un giovanissimo Rocco Siffredi, che sottolinea serio serio: "Una donna mi deve dare ispirazione". Di fronte a tutto, Gregoretti ascolta, prende nota, commenta con elegante, britannica ironia.

Raggiungiamo al telefono il figlio Filippo, che ha accompagnato il padre in questo suo ultimo progetto.

Filippo Gregoretti, che Italia si scopre nel film?

"Quella che ho conosciuto nella mia infanzia. Io sono nato nel 1971, ho vissuto le telefonate col dito nel cerchietto, per intenderci… E nel film trovo questa innocenza di un’Italia che probabilmente non c’è più. E che lo sguardo di Ugo sa cogliere nei suoi aspetti più comici e umani, con grande empatia e con grande rispetto".

Che tipo di padre era Ugo Gregoretti? Cinque figli, un lavoro che doveva prenderlo molto. Aveva tempo per voi?

"Certo, aveva momenti di grande assenza, ma quando c’era, era una presenza benevola. Una bocciatura la si andava a dire prima a lui che alla mamma…"

E nel ricordare questo particolare, la voce gli si incrina. "Scusami, mi sto commuovendo".

Frugare nei suoi servizi per la Rai di trent’anni prima che effetto le ha fatto?

"È stata una continuazione ideale di quei ‘viaggetti’, come li chiamava Ugo. Io mi ricordavo quelle sue cronache, all’epoca avevo vent’anni: non le ricordavo, però, così divertenti. Quell’Italia vista con gli occhi di Ugo è emozionante".

Non esiste più quell’Italia, secondo lei?

"Era un’Italia di stranezze locali, cresciute grazie all’isolamento di certi paesi, di certe frazioni. Adesso, con Internet, con i social, è impossibile rimanere fuori dal tempo, è impossibile mantenere certe bizzarrie".

Come sono state le riprese del film?

"Molto facili: papà aveva tutto chiaro, era lucidissimo e stakanovista. È stato lui a guidarci, sempre. Per Tsai Hsuan, mia moglie, aveva inventato dei siparietti in un italiano desueto, aulico. Lei, che pure studiava italiano soltanto da pochi mesi, ha imparato a memoria quel copione difficilissimo, scritto da mio padre. Tutti e due non hanno sbagliato una virgola, e abbiamo finito le riprese in tre giorni, con un’ora di anticipo sul previsto".

Un’ultima cosa. Gregoretti, con Nanni Loy, con Mario Soldati, era protagonista di un modo di fare televisione che non esiste più. Quale televisione le piace, oggi?

"Guardi, non sono la persona più adatta per rispondere. L’ultimo televisore mi si è rotto nel 1996: da allora, non l’ho più ricomprato".