Venerdì 21 Marzo 2025
ANDREA SPINELLI
ANDREA SPINELLI
Magazine

Lucio Corsi: “Volevo essere un duro, ma soprattutto un inventore di ricordi”

Il cantautore e il nuovo album: “Nove canzoni che mescolano vero e falso”. Aspettando l’Eurovision: “Siamo in ballo e balliamo. Senza tanti fronzoli”

Lucio Corsi, 31 anni. A sinistra la copertina del suo nuovo album

Lucio Corsi, 31 anni. A sinistra la copertina del suo nuovo album

Milano, 21 marzo 2025 – Vivere la vita è ancora un gioco da ragazzi per Lucio Corsi, che cerca ora in quella raccomandazione materna impigliata nei versi di Volevo essere un duro il filo rosso per legare pensieri e parole dell’album con cui torna sulle scene dopo il secondo posto a Sanremo e il Premio della Critica “Mia Martini”. Il mancato lottatore di sumo, la cintura bianca di judo, l’appassionato di motociclismo, il ragazzo che arriva dalla provincia maremmana confeziona nove nuove canzoni che presenta dal vivo nel club tour (esaurito) al via il 10 aprile da Perugia, con tappe pure a Bologna il 13, Firenze il 16 e Milano il 29 aprile e 4 maggio, cui seguirà un lungo cammino estivo con fermata finale all’ippodromo di San Siro il 7 settembre.

In Tu sei il paradiso ricorda che suo nonno Lucio non l’ha vista cantare. Cosa gli direbbe?

“Sono stato sulle sue ginocchia, ma non ricordo niente, perché ci ha lasciati che ero troppo piccolo. Probabilmente gli farei ascoltare una canzone sull’amicizia come Nel cuore della notte”.

Dice che in questo disco ci sono ricordi veri e ricordi falsi. Uno artefatto che però le riscalda il cuore?

“In questo album ho voluto guardare al passato mischiando le storie della mia adolescenza e dell’infanzia con quelle delle persone che ho conosciuto, di amici, per rendere il passato sorprendente quanto può esserlo il futuro, ma soprattutto cancellando la linea di memoria che separa uno dall’altro. Il futuro ti sorprende sempre, perché sconosciuto, mentre il passato, in quanto tale, già lo conosci. Se lo reinventi, invece, puoi stupirti ancora e guardare al domani con altri occhi. Per questo non lo voglio sapere neppure io quali sono i ricordi sono veri e quelli no, perché mi cadrebbe tutto il castello che mi sono costruito”.

L’utilizzo del rock in brani come Francis Delacroix, Let there be Rocko, Questa vita rimanda istintivamente all’Edoardo Bennato di Sono solo canzonette.

“Effettivamente sono sempre stato un suo grande fan, per quell’approccio folk-blues alla canzone che deriva dal talking blues di Dylan, la forma più immediata e diretta di raccontare una storia e fissarla nel tempo facendola passare di bocca in bocca. Anche perché la nostra lingua si presta molto a quel tipo di scrittura, offrendoci tantissimi modi di rendere ritmica una frase. E poi pure io, come Bennato, ho fatto anni e anni di concerti chitarra e voce, un modo di confrontarsi con la canzone che trovo fantastico”.

La sorpresa più grossa di Sanremo?

“Essere riuscito a divertirmi nonostante il frullatore in cui mi trovavo. Questo perché avevo con me Tommaso Ottomano, che ha curato pure la produzione dell’album con Antonio “Cuper“ Cupertino, e altre persone capaci di farmi sentire a casa, ma anche pianoforte, armonica, chitarra, gli strumenti che mi hanno sempre tirato fuori dai guai”.

Una sorpresa è stata pure la rinuncia di Olly all’Eurovision che le ha messo in tasca il biglietto per Basilea.

“La prima reazione è stata: siamo in ballo, balliamo. All’Eurovision terrò la stessa linea adottata a Sanremo, senza tanti fuochi d’artificio, senza tanti fronzoli (pure senza Topo Gigio - ndr), per puntare tutto sul brano. È inutile, infatti, pensare di plasmare la musica in base al contesto in cui la fai perché le canzoni hanno la loro anima e non prendono la forma indotta dalla cornice”.

Se il Festival di Sanremo avesse adottato lo stesso sistema di votazione dell’anno scorso, avrebbe vinto lei. Sarebbve stato troppo?

“Non lo so. Pur amando lo sport e le sfide non ho mai vissuto la musica come una competizione, quindi, mi sentivo già a posto per il fatto di stare su quel palco. Tutto il resto è stato un di più”.

Che impressione le ha fatto la polemica montata sulla sua vecchia Altalena boy dal marionettista rom torinese Rašid Nikolić per quel verso “C’è chi dice: “L’hanno preso gli zingari / e l’han portato in un campo fuori Roma“” diretto ad alimentare, a suo avviso, la vulgata che gli zingari rubano i bambini?

“Quel “c’è chi dice“ premette che si tratta di una voce presa dalla piazza, non una mia convinzione. Ci mancherebbe altro. Le canzoni possono farlo. Possono riportare credenze popolari senza impegnare per questo chi le esegue”. Controindicazioni della popolarità.