Sabato 21 Dicembre 2024
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Luca Zannotti, l’uomo che ha riunito i CCCP: “Il tour, che scommessa. Hanno convinto i giovani perché la verità è bellezza”

È probabilmente la tournée indipendente italiana più grande di sempre, con oltre 100.000 biglietti venduti in 15 date; il manager dei concerti della reunion premiato al Mei di Faenza: «Ammiro i CCCP da quando avevo 14 anni: la loro è stata l’esperienza musicale più seminale, in Italia ha influenzato tutte le arti. Io non ho multinazionali alle spalle: un errore avrebbe valso il mio fallimento»

Luca Zannotti, 44 anni, con la sua agenzia concerti Musiche Metropolitane, è vincitore del Premio Mei 2024 per il miglior tour indipendente dell’anno, come ideatore e organizzatore del tour dei CCCP - Fedeli alla Linea "In fedeltà la linea c’è"

Luca Zannotti, 44 anni, con la sua agenzia concerti Musiche Metropolitane, è vincitore del Premio Mei 2024 per il miglior tour indipendente dell’anno, come ideatore e organizzatore del tour dei CCCP - Fedeli alla Linea "In fedeltà la linea c’è"

Faenza, 7 ottobre 2024 _ Luca Zannotti: a Faenza al Mei-Meeting delle etichette indipendenti lei è stato premiato come ideatore e organizzatore, con la sua agenzia “Musiche Metropolitane“, per il miglior tour indipendente, ovvero quello dei CCCP “In fedeltà la linea c’è”:  probabilmente il tour indipendente più grande di sempre, con oltre 100.000 biglietti venduti in 15 date. Come si spiega il grande successo della reunion del gruppo a quarant’anni dalla nascita?

““Bellezza è verità, verità è bellezza” tuonava John Keats appena ventenne. Niente di più vero. Niente di più vero della loro anti-teatralità. Fra sfuriate poetiche e slogan pubblicitari i CCCP hanno sublimato le contraddizioni degli anni Ottanta, forgiando un immaginario fra sacro e profano che ha trafitto due generazioni. Un’oscillazione verticale che a quanto pare ha segnato tante persone nel profondo”.

Come è nata e come si è realizzata questa avventura della reunion, passo dopo passo?

“Ancor prima delle azioni che hanno determinato l’evolversi di questa storia, che affonda le sue radici altrove nel tempo e nello spazio, penso a un intreccio di amori irrisolti, dove la mia funzione si è limitata a favorire quel prezioso intreccio di antenne che ha travolto due generazioni. Sono stato un facilitatore, più che un manager. La mia agenzia, Musiche Metropolitane, funziona artigianalmente. Il merito è dei CCCP, della cura superlativa di Annarella, di Massimo Zamboni, di Giovanni Lindo Ferretti e di Fatur, del loro coraggio. Ci sono state delle occasioni di incontro che hanno preparato il terreno, penso a quella fra Giovanni e Massimo per la presentazione dellla riedizione del Libretto Rozzo a Roma, all’intervista per il doc Kissing Gorbaciov, infine la sfida della mostra Felicitazioni! a Reggio Emilia, che ha delineato le dimensioni di questa vicenda. È in questo contesto che ho cominciato a nutrire l’idea di un tour, fra epifania post moderna e rito collettivo. Fra gli episodi ricordo questo: mi trovavo in tour a Ledro con Massimo Zamboni col suo mite e incendiario reading illustrato. Sui sentieri che si raggomitolano attorno al nostro hotel, dopo una lunga e solitaria riflessione, approcciai Massimo ponendogli l’audace ipotesi di un ritorno sui palchi dei CCCP - Fedeli alla Linea. Massimo espresse un profondo scetticismo, apparentemente irremovibile, sul ritorno al teatro primitivo dei CCCP. Massimo è la formula arcana della dialettica musicale dei CCCP, insostituibile sorgente di equilibrio. Capitò di parlarne perché la mostra di Reggio prevedeva un evento che avrebbe coinvolto la band. Un “Gran Gala Punkettone di parole e di immagini” al Teatro Valli, dove forse avrebbero suonato qualcosa. Una speranza capace di superare qualsiasi resistenza. Una comunità orfana di averli ascoltati dal vivo aspettava da trent’anni, e io che di questa comunità facevo parte, indossai il “Budenovka”, il copricapo tipico dei soldati dell’armata rossa, per prepararmi alla battaglia, conscio della complessità che avrei incontrato”.

Come ha fatto a portarli dalla realizzazione dal Galà al Valli a Berlino e poi al tour?

“Faccio parte della generazione che è cresciuta con i CCCP senza averli mai visti dal vivo. Potete immaginare la portata che questa missione assumeva in me. La serata al Valli doveva inizialmente limitarsi a un talk seguito da un breve intervento musicale legato alla mostra. Il concerto di Berlino invece faceva parte di un pacchetto più ampio di mie proposte che guardavano a Oriente. L’emozione che ho provato durante la telefonata in cui Annarella mi confermò la loro disponibilità risuona ancora dentro di me. Per il tour estivo invece ho giocato d’anticipo. Elaborata l’idea ho costruito il progetto: ho elaborato una carrellata infinita di conti compensati da previsioni di risultato alla cieca; lo storico - i precedenti dati di vendita - ovviamente non esisteva, azzeccare quei conti è stata la missione più complessa, un errore avrebbe valso il mio fallimento professionale, e dell’operazione tutta. Il rischio era enorme. È stata una lunga fase di delicato virtuosismo, di matematici equilibri. Successivamente ho contattato segretamente i promoter per garantirmi i festival più adatti e le condizioni migliori. A dicembre avevo completato il mosaico”.

Ha mai avuto paura che la reunion suscitasse più perplessità tra i fan che entusiasmi? Soprattutto per il percorso politico di Ferretti?

“No non ho mai temuto insurrezioni. CCCP - Fedeli alla Linea sono un gruppo punk melodico emiliano che ha attinto sapientemente anche da un’iconografia filo-sovietica: questo non significa che facessero politica, chi li ha confusi per la colonna emiliana delle BR non ha capito molto, né del presente, né tantomeno del loro passato”.

Lei è nato a Livorno 44 anni fa: è più giovane dei CCCP. Come e quando li ha conosciuti?

“Avevo 14 anni, rimediai Live in Punkow in musicassetta da un compagno di scuola. La celebre raccolta di registrazioni dal vivo fra cui Aiazzone e Curami. Non avevamo mai ascoltato nulla di simile, fu il mio battesimo post-punk. Ironia, slogan post moderni e ascese mistiche. Quella sensazione mi graffiò il cuore, fu una boccata di ossigeno che mi stordì. Le liriche incendiarie, colte, infarcite di slogan pubblicitari, immagini poetiche come motti di una nuova contemporaneità, e poi l’abulica solennità di Giovanni. Da allora cominciai a disobbedire, imbracciai una chitarra, trovai il riff di Spara Jurij. Così la mia vita è cambiata. Da allora mi sento parte di quella sorellanza e fratellanza che è il rock and roll, e così ho trovato un ruolo in questa storia”.

Nel tour quale è stato il momento più commovente? Il più felice?

Il più felice è stato in Piazza Maggiore, a Bologna, una soddisfazione ultraterrena, conquistare la piazza più bella d’Italia, quella della mia giovinezza damsiana, decadente, tondelliana, che odorava di inchiostro, di nottate insonni e tentativi rivoluzionari di incidere sulla scena musicale di allora. “A quanto pare sta accadendo davvero” dissi sulle note di Annarella con le lacrime agli occhi a Claudio Carboni, il mio fratello in questo lavoro. Il momento più commovente invece a Mantova, quando mi accorsi che sarebbe stata l’ultima volta che avrei ascoltato le sibille di Annarella e assistito al cabaret primitivo, surreale ed espressionista dei CCCP. Una saudade indescrivibile. Un tonfo scuro nel cuore. Ricordo abbracci profondissimi quella sera, il primo a David Martinelli, il tour manager eccezionale che ho voluto accanto a noi”.

Potesse scegliere una sola parola per definire ognuno di loro quale sarebbe?

“CCCP - Fedeli alla Linea sono un collettivo declinato al plurale, plurali le parole che umilmente spenderei, senza permettermi di definire. Tratterei quel tutto come un’entità inscindibile animata da talento, autoironia, grazia, anti-teatralità radicale, pop-primitivo, gentilezza militante, azionismo abulico, teoria e ascesi linguistica. “Fanculo qualsiasi tecnica, quello che mi interessa è l’anima di chi suona, e non la qualità dello strumento””.

Potesse scegliere una loro canzone in cui si identifica, che la rappresenta?

“Probabilmente Trafitto: nei fatti mi sento trapassato dal passato, condotto da fragili desideri, a volte indispensabili a volte no, tra puro movimento immoto, nel bel mezzo del progresso di diversi colori. E poi perché pasolinianamente tifo rivolta”.

Quale è stata l’idea artistica che ha guidato il concerto?

“Massima naturalezza, nessun rigurgito intellettuale. Abbiamo assistito a un happening fra azionismo viennese e Arte povera, un’architettura involuta di slogan e traguardi poetici, di insegne luminescenti e esplosioni melodiche. Abbiamo goduto di due ore in pieno stato di agitazione. Un rapimento che ci ha portato indietro, agli anni migliori della poesia e della cultura degli anni Settanta e Ottanta del Novecento - Pasolini, Nanni Balestrini, Franco Arminio. E poi la riflessione fra arte vita di Mishima, la poesia operaia di Majakovskij, le salmodianti preghiere dei pastori mongoli. Una traccia postmoderna, che abbraccia il meglio del Novecento, miscelandolo sapientemente con un fare psicanalitico da un lato le preghiere dei monaci cistercensi, dall’altro gli scritti arsi della biblioteca di Alessandria. Un universo complesso trafitto da una batteria elettronica ossessiva e magnetica”.

I CCCP 2024 hanno convinto i vecchi fan e hanno conquistato i più giovani. Come hanno fatto?

“La generazione dei CCCP è stata lacerata da profondissime contraddizioni, fra due categorie in aperta oscillazione: comunismo/capitalismo e poi sacro/profano. Nasce in un momento caratterizzato da trasformazioni genetiche del tessuto sociale di questo Paese, una generazione in lotta con degli autorevoli padri. Le istanze contrarie diceva Nietzsche alimentano il fuoco dell’ispirazione. Quella generazione ha vissuto nella condivisione, nella consapevolezza di far parte di una progetto comune, fra letture di primissimo livello, e slanci vertiginosi verso l’alto prima, e il basso poi. Ha macinato librerie intere. Si è nutrita di versi memorabili, ha vissuto nel presente, senza disturbi dell’attenzione. Il loro “qui ed ora” è stato più concreto del nostro, e i risultati si vedono”.

Ai loro concerti c’erano ventenni e settantenni: chi sono oggi più punk, i vecchi o i ragazzini?

“Il punk è nichilismo, il nichilismo un’istanza giovanile, i punk sono i francescani della controcultura, a mio avviso nutrono una profana santità. Mi auguro che questa cellula accompagni contrastando la sottocultura del consumo bulimico, dell’esibizione pornografica della ricchezza, che continui ad avere la forza di metterla in crisi”.

L’avventura dei CCCP riuniti continuerà? 

“Tutto si muove entro i confini circoscritti da una storia da rispettare, una storia che è già patrimonio collettivo. In uno dei miei viaggi per terre lontane Danny Fields - manager di Ramones, The Stooges, MC5 - che conobbi a New York nel novembre del 2019 in occasione del tour americano di Gary Lucas, nel suo appartamento nel Village, mi disse affacciandosi dalla finestra del soggiorno, lo stesso dove frequentemente dormiva Iggy Pop: “C’è un tempo per tutto, un tempo lì c’era il Max’s, lì lo Studio 54, di là il CBGB, adesso la storia ha trasformato tutto, una generazione intera sta volgendo al termine, tutto finisce, e finiamo anche noi”. E’ così”.

Chi sono secondo lei oggi gli eredi dei CCCP?

“L’eredità dei CCCP è stata raccolta abbondantemente dai protagonisti della musica italiana degli anni Novanta e Duemila, e certe loro suggestioni appaiono nel teatro contemporaneo, nella moda, nel cinema, nella danza. Sono stati probabilmente l’esperienza musicale culturalmente più rilevante e seminale del secondo dopoguerra”.

Quale è la sua idea per lanciare oggi non eventuali nuovi CCCP, ma almeno per creare un tessuto che permetta alla nuova musica sperimentale d’autore di trovare spazio e crescere? I talent tv possono essere utili?

“Non ne sono convinto, rispetto i colleghi dei talent, ma direi di no. La musica nasce dai movimenti, dal tessuto sotterraneo, dagli scambi liquidi ed emotivi fra ventenni problematici. Il talent finisce per addomesticare gli artisti a canoni di mercato di cui poi cadranno vittime. Le scelte del mercato sono dettate da degli algoritmi, dove il valore è determinato da un indice numerico. Vale solo chi moltiplica gli ascolti distratti di migliaia di persone, che trattano la musica come un sottofondo inerte. Heidegger ha già detto tutto cento anni fa. Di cosa stiamo parlando, di mercato? La musica è un’altra cosa, ecco perché serve subito una legge che riconosca e tuteli i live club, le imprese culturali e creative, e i lavoratori dello spettacolo. Se andiamo avanti così la creatività musicale produrrà solo dei mantra da soggiorno, dei brusii da supermercato”.

La sua prossima avventura?

“Non saprei, faccio questo lavoro da vent’anni, e navigo a vista, ogni mia avventura con Musiche Metropolitane è stata vissuta in termini molto emotivi, ho rappresentato solo gruppi musicalmente significativi per me, fino ad oggi sono stato un indipendente totale. La mia storia prende avvio ai tempi in cui indie era il genere musicale dei Pavement e dei Dinosaur Jr, ai tempi del festival di Castellina Marittima, a cui ho lavorato tanto, una vetrina internazionale, un punto di riferimento per molti appassionati frequentata da formazioni sperimentali, penso ai Liars o agli Archie Bronson Outfit. Ho organizzato più di tremila concerti nella mia vita, ne ho viste di tutti i colori, ma di fatto mi sento all’inizio. Non saprei cosa mi aspetterà, continuerò a fare da facilitatore per questi grandi artisti, mettendo sul piatto gentilezza, pazienza e visione”.

Il regalo più bello che ha avuto dai CCCP?

“La fiducia che potessi farcela senza una multinazionale alle spalle, senza un ufficio a Milano, senza un fatturato milionario. È bastato parlare e intenderci, saper rispettare dei ruoli come accade in famiglia; comprenderne le dinamiche. Ci siamo riconosciuti subito come membri di quella fratellanza e sorellanza, loro dall’olimpo dell’iconografia post-punk, io da un fumoso ufficio di provincia”.