Bertuccioli
Un personaggio così mancava nella sua già ricca e importante galleria. Certo, Doc svetta su tutti, campione incontrastato di ascolti (per ben tre stagioni, dal 2020, su Raiuno) e di empatia. Ma anche se lui predilige la commedia, aveva voglia di misurarsi con un personaggio cupo, tormentato. E che non sorride mai, ma proprio mai: quasi impensabile per uno come Luca Argentero, sempre sorridente nella vita e che anche in una pubblicità televisiva sfoggia il suo bel sorriso. E dunque eccolo, in una Sardegna invernale e livida, nel ruolo della guardia carceraria Sante Moras, costretto a nascondersi mentre cerca si smascherare chi l’ha voluto incastrare e la polizia gli dà la caccia ritenendolo responsabile dell’uccisione di un detenuto. Tratto dall’omonimo romanzo di Maurizio Maggi, La coda del diavolo, è una produzione Sky Original, dal 25 novembre su Sky e in streaming su Now. Un poliziesco con pennellate di noir diretto da Domenico De Feudis, anche con Cristiana Dell’Anna e Francesco Acquaroli.
Argentero, com’è stato coinvolto in questo progetto?
"In maniera diversa dal solito, quando non c’era ancora una sceneggiatura ma soltanto un libro, da cui siamo poi partiti. Essere coinvolto fin dall’inizio mi ha fatto appassionare al progetto. C’è voluto poi un lungo lavoro per arrivare a racchiudere tutta la storia, così densa di fatti e personaggi, in un formato al quale non siamo quasi più abituati, in epoca di serie, ovvero i novanta minuti di un film".
Un personaggio cupo e ripiegato su se stesso, insolito per lei.
"Effettivamente è un personaggio diverso da quelli che ho in genere interpretato. Sono fortunato, faccio questo lavoro da una ventina d’anni e ho spaziato attraverso cose molto diverse tra loro. Negli ultimi cinque anni, però, mi sono dedicato a Doc, che ha certificato il successo del lato empatico del mio carattere. Qui avrei dovuto mostrare altro. L’ho preso come un segno di stima nei miei confronti e quindi quando mi è stato offerto questo ruolo l’ho afferrato al volo".
Moras deve fare i conti con il pregiudizio di molti nei suoi confronti. Per lei, visto all’inizio con una certa diffidenza per l’esordio come concorrente alla terza edizione, 2003, del reality Grande Fratello, quanto conta il giudizio degli altri?
"Sono vent’anni che mi giudicano, dicendo cosa non dovrei fare e magari apprezzandomi in prove in cui io mi ritengo mediocre. In realtà a me interessa il parere di pochissime persone".
Nel film scappa, fa a botte, ne prende e ne dà. Ha fatto una preparazione fisica particolare?
"Pesavo 15 chili più di adesso. Per Moras serviva una certa pesantezza. Un po’ sono dimagrito per quello che sto girando ora (è impegnato, a Imola, nelle riprese di una serie diretta da Matteo Rovere per Netflix, sul Campionato Italiano Gran Turismo, ndr) ma allora ero anche naturalmente appesantito. Non riesco a capire se è la mia vita che va in sintonia con i personaggi o cos’altro".
Perché, in quel periodo era tormentato anche lei come Moras?
"Proprio no, nessuna condivisione di sofferenza e dolore con il personaggio. Sono in un momento in cui la mia vita è un raggio di luce, con i bambini piccoli, un momento di grazia. Mia moglie è venuta in Sardegna con la piccola ed andavamo in spiaggia, con un fantastico sole di novembre".
Farà per Sky anche una serie sull’avvocato Lorenzo Ligas.
"È un personaggio atipico per me, un pochino più scabroso, meno familiare. È un avvocato penalista che sceglie di difendere sempre la parte perdente perché sa che così potrà andare a scavare nel marcio. Non gli interessa tanto la difesa del bene ma il giocare con la legge".
Tornando a La coda del diavolo: in questo film non sorride mai. Non è da lei.
"Un film senza proprio mai sorridere, in effetti non mi era mai capitato. Certo anche in Cha cha cha di Marco Risi e ne Il permesso – 48 ore fuori di Claudio Amendola non ridevo granché ma Moras ha dentro una sua cupezza particolare. Quando giravamo la scena finale, ho timidamente domandato al regista: “A questo punto posso fare un sorrisino?“. E lui, secco: “No, non puoi“. E quindi nessun sorrisino nemmeno lì".