Perché alcune persone sono
allergiche ai gatti? La risposta potrebbe curiosamente arrivare dai
lori lenti (
Nycticebus), primati in apparenza buffi e teneri, ma che in realtà producono una
potente tossina, caso raro tra i mammiferi. Un gruppo di scienziati ha studiato il loro veleno, trovando
notevoli analogie con una proteina che ricopre il pelo dei felini domestici.
Lori lento: breve identikit
Si tratta di un piccolo primate dal pelo folto, grande dai 20 ai 40 centimetri, di casa nel sud-est asiatico. Come suggerisce il nome, questo animale dotato di enormi occhi frontali si distingue per i
movimenti pigri e compassati. Il suo aspetto innocente nasconde però delle
ghiandole velenose nell'incavo dei gomiti. Strofinandosele contro la bocca, il lori lento trasforma di fatto la sua saliva in un liquido tossico che,
in caso di morso, impedisce alle ferite di guarire in fretta, provocando anche necrosi e setticemia.
Come un shock allergico
Bryan Fry, professore dell'Università del Queensland (Australia) ha spiegato che i lori lenti usano di norma il veleno "per combattere i loro simili, causando ferite che impiegano molto tempo ad andare a posto". Tuttavia, se il morso viene inflitto
a un essere umano, "la vittima mostrerà i sintomi paragonabili a quelli di uno shock allergico". Per comprendere i segreti della tossina, Fry e i suoi colleghi hanno quindi
sequenziato il DNA di alcune secrezioni ghiandolari, prelevate in una riserva in Indonesia nel corso di un lavoro di ricerca lungo due anni.
Allergia al gatto: forse c'è un perché
Gli scienziati hanno così scoperto che il veleno contiene una
proteina praticamente identica a quella presente nella saliva e nelle ghiandole sebacee dei gatti, i quali la
spalmano sul proprio pelo. Tale sostanza è quella che causa la classica
reazione allergica "al gatto" e secondo Fry non siamo di fronte a una coincidenza. Osservando la strategia difensiva dei lori lenti, è plausibile concludere che anche per i mici potrebbe trattarsi una precisa "scelta evolutiva", che, almeno in origine, è servita "per proteggersi dai predatori".
L'ipotesi avrà bisogno ora di nuove prove per essere conferma. Ulteriori indagini permetteranno di capire ad esempio se siamo di fronte a un caso di
convergenza evolutiva, in cui cioè due specie non strettamente imparentate hanno sviluppato
caratteristiche simili per adattarsi alle esigenze del loro ambiente.