Lunedì 16 Dicembre 2024
STEFANO MARCHETTI
Magazine

L’opera e la terra, Villa Verdi ora è di Stato

La dimora del compositore a Sant’Agata di Villanova espropriata dal ministero della Cultura. Un pezzo di storia della musica

Giuseppe Verdi sulla porta della villa di Sant'Agata di Villanova sull'Arda (Piacenza)

Giuseppe Verdi sulla porta della villa di Sant'Agata di Villanova sull'Arda (Piacenza)

Sant’Agata di Villanova (Piacenza), 17 dicembre 2024 – Nel grande parco aveva piantato un platano e lo aveva chiamato Rigoletto, un salice era Traviata e una quercia Trovatore, proprio come la trilogia popolare. Mentre volava nell’empireo della musica, sempre più famoso e sempre più amato, Giuseppe Verdi teneva le radici solidamente ancorate alla terra, a quella bassa padana da cui proveniva e che era per lui anche linfa di ispirazione. E il suo mondo era tutto là, nella grande villa di Sant’Agata di Villanova, in terra piacentina ma ad appena una manciata di chilometri da Busseto e dalle Roncole, il nido parmense. Quella villa che – chiusa da più di due anni per un tormentato iter di eredità e controversie – diventerà definitivamente dello Stato italiano: proprio ieri Luigi La Rocca, direttore generale per archeologia, belle arti e paesaggio del ministero della Cultura, ha firmato il decreto di esproprio della residenza e delle sue pertinenze che entreranno in possesso dello Stato il 28 febbraio 2025.

"Villa Verdi è il simbolo della grandezza culturale dell’Italia e il luogo dove il maestro ha trovato ispirazione per molte delle sue immortali composizioni – ha ricordato il ministro Alessandro Giuli –. Grazie a questo importante atto, lo Stato ne garantisce la salvaguardia e la restituisce alla comunità come patrimonio di tutti". Il progetto è di farne un centro di riferimento per la cultura, la musica e la storia dell’Ottocento italiano, e il perno di un itinerario nelle terre verdiane che abbracci appunto anche il teatro Verdi e il Palazzo Orlandi a Busseto, e la casa natale del musicista a Roncole, luoghi di delizie gastronomiche, culatello, tortelli e vini veraci, e di incantevoli memorie musicali.

Nel 1848, quando già avevano debuttato Nabucco, Ernani, Attila e Macbeth, Giuseppe Verdi, allora trentacinquenne, firmò il rogito per l’acquisto di un’enorme tenuta a Sant’Agata di Villanova, 350 biolche con edifici rurali e attrezzature agricole fra cui una pompa meccanica per aspirare l’acqua dal torrente Ongina e garantire l’irrigazione dei campi: negli anni, il musicista continuò a espandere i suoi possedimenti che alla massima estensione arrivarono a una superficie di quasi 1200 ettari.

Fu nel 1851 che Verdi decise di trasferirsi a Sant’Agata insieme al soprano Giuseppina Strepponi che sarebbe poi divenuta sua moglie: la casetta del primo ‘700 che aveva acquistato venne trasformata in una sontuosa villa padronale a due ali, con un cortile centrale, un parco con laghetto e ghiacciaia, cantine e collezioni di carrozze.

"Impossibile trovare dove vivere con maggiore libertà", confidò Verdi nel 1858 all’amica Clara Maffei, animatrice di un vivace salotto risorgimentale. Il musicista preferì alloggiare e lavorare al pianterreno per lasciarsi ispirare direttamente dalla vista e dalla bellezza del giardino e fu proprio a Sant’Agata che, al pianoforte Fritz, concepì molte fra le sue opere eterne, non solo la ‘trilogia’ ma anche Simon Boccanegra, Aida, Otello, Falstaff e La forza del destino con cui dieci giorni fa si è inaugurata la stagione della Scala.

Nella quiete della villa compose anche il Requiem in onore di Alessandro Manzoni che gli aveva donato la prima edizione dei Promessi sposi, un tesoro ancor oggi custodito nella casa.

A Sant’Agata – dove ospitò tanti amici, dal librettista Arrigo Boito al compositore Pietro Mascagni fino al mitico Arturo Toscanini – Giuseppe Verdi abbinava l’irrefrenabile studio musicale all’attività agraria. "Non derogavo mai dalle mie abitudini solitarie e contadine – scrisse nel 1898 allo storico Corrado Ricci –. Mi ritempravo uscendo solo per le mie terre e occupandomi col massimo piacere di agricoltura". Piantava vigne, curava la produzione di vino, si alzava all’alba per andare a controllare lo stato dei raccolti, grano, mais, e naturalmente teneva i conti.

"Il suo amore per la campagna è diventato mania, follia, rabbia, furore", rivelava Giuseppina Strepponi in una lettera del 1867 all’editore Escudier. La stessa sanguigna passione padana presente in tutte le sue opere e che ancora ‘abita’ le stanze della villa di Sant’Agata: riapriamone i cancelli e rimettiamoci in ascolto.