di Gianluca Biscalchin
Abracadrabante! No, non è Lord Voldemort che lancia malefici contro Harry Potter. Trattasi invece di una parola inventata da Carlo Emilio Gadda, forse il più grande scrittore italiano del Novecento. Sicuramente il più indigesto.
Il pubblico dei riluttanti lettori oggi è costretto a ricordare i cinquant’anni dalla morte (1973) e i centotrenta dalla nascita (1893). E il modo più agevole è con il Gaddabolario. Duecentodiciannove parole dell’Ingegnere, edizioni Carocci, curato magistralmente da Paola Italia e altri sessanta gaddofili che hanno raccolto le più stravaganti invenzioni lessicali dello scrittore lombardo.
Ma perché Gadda è respingente? Italo Calvino inizia la sua ultima Lezione americana, la meno citata, Molteplicità, spiegandolo: "Cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità". Anzi, complicandola ancor di più con il suo vertiginoso universo lessicale.
Che il suo più noto “nipotino”, Alberto Arbasino, gaddaniamente descrive così: "Vocaboli dialettali e stranieri, termini scientifici e triviali, vezzi eruditi, definizioni tecniche, deformazioni macaroniche, neologismi saporitissimi, stilemi personalissimi, omofonie-calembour, grotteschi ossimori, onomatopee sgangherate, tautologie barocche e brianzole, inimitabili invettive ipocondriache…"
Un elenco che illumina sull’ostracismo del lettore per una scrittura così impegnativa, eppure, spesso, divertentissima. La curatrice del libro confessa che "a volte si ride irrefrenabilmente, fino alle lacrime". Un esempio? “Cinobalànico”: parola formata da cino, “cane”, e balanico, derivato di balano (“glande”)”. Ovvero: “a c... di cane!”.
E poi: furugozzo, azimutale, gruzzolante, piscivùlvulo, fogazzaroide… Altro che babbani, mangiamorte e dissennatori. Grazie al Gaddabolario si entra così con leggerezza nella complicata macchina ironico-tragica dei capolavori gaddiani, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore. O per lo meno, vien voglia di farlo.
Leggendo le voci di questo inventario di neologismi e tecnicismi, spiegati e raccontati con infinito amore, si intuiscono, o si ribadiscono, talune cose: uno, come funziona la sua officina creativa; due, la dimensione della morbosità, la paranoia, la patologia di uno scrittore che vive la lingua nelle viscere; tre, l’ironia (e l’autoironia) coltissima e furente, selvaggia ed eversiva di un signore dal piglio impiegatizio che devasta le forme putride della lingua letteraria; quattro, la conoscenza enciclopedica di mondi diversissimi, dalla storia all’ingegneria, dall’arte alla matematica, la pedagogia, l’architettura, la fisica e soprattutto la filosofia.
Sembra un anticipo di intelligenza artificiale: bastava immettere un elemento straniante nel gigantesco data base mentale dell’ingegnere che ne uscivano neologismi deflagranti. Non solo in termini squisitamente letterari: la forza vitale di queste parole, anche le più burocratiche, le più tecnico- scientifiche, se risemantizzate, si rivelano uno strumento di libertà, di difesa contro pensieri unici e idee stantie, sono politica, autoanalisi, spesso divertimento allo stato puro.
È il motivo per cui chi ama Carlo Emilio Gadda, gode. Per gli altri, se non vogliono durar fatica, c’è sempre la sua ricetta del risotto alla milanese, un bignami di lingua e tecnica gaddiana, di una brevità perfetta in tempi di deficit d’attenzione. Si trova facilmente sull’internét.