Mercoledì 28 Agosto 2024
LUCA SCARLINI
Magazine

L’irruzione del “metal“ nell’immaginario collettivo

A Parigi, alla Philarmonie, la mostra "Metal. Diabolus in musica" esplora l'immaginario oscuro del genere attraverso copertine, oggetti d'arte e storia, da Led Zeppelin a Marilyn Manson. Un viaggio nel mondo del metal, tra apprezzamenti fanatici e odii, che rivela la sua forza provocatoria e ribelle.

L’irruzione del “metal“ nell’immaginario collettivo

A Parigi, alla Philarmonie, la mostra "Metal. Diabolus in musica" esplora l'immaginario oscuro del genere attraverso copertine, oggetti d'arte e storia, da Led Zeppelin a Marilyn Manson. Un viaggio nel mondo del metal, tra apprezzamenti fanatici e odii, che rivela la sua forza provocatoria e ribelle.

Parigi si tinge di nero, alla Philarmonie dove, fino al 29 settembre 2024 va in scena Metal. Diabolus in musica, curata da Milan Garcin e Corentin Charbonnier. L’idea è quella di creare una cattedrale con un impressionante display di gotiche vetrate in cui vanno in scena i gruppi che hanno determinato questo immaginario, in tutti i mille rivoli della sua storia in un cinquantennio.

L’esposizione parte dal grido di Robert Plant, nella classica Immigrant song, che parlava di un rituale per entrare nel Valhalla. I riferimenti culturali al paganesimo nelle band che hanno fondato il genere sono stati massicci: i Led Zeppelin erano appassionati di Alesteir Crowley (di cui hanno cercato di acquistare la casa di Cefalù, trasformata nell’Abbazia di Telema), i Black Sabbath (Ozzy Osbourne ha firmato un album live, dal titolo Mr Crowley, sulla copertina di Eternal Idol, 1987, compare la scultura omonima di Auguste Rodin, che è in mostra) e i Deep Purple.

Quella era un’epoca del rock inglese in cui i riferimenti all’occultismo erano massicci, anche David Bowie inserì il mago nella magnifica Quicksand, il brano più esoterico di Hunky Dory. Da Albione il rock duro ha preso piede negli Stati Uniti, con gli Aerosmith (centrale il lavoro di Rocks, 1976) e poi sono nate tutte le possibili derivazioni, incluso l’incrocio memorabile tra opera e metallo dei Queen. L’eredità glam rock è stata coltivata dal mondo dell’hair metal, lanciato a inizio anni ’80 dai Mötley Crüe, anticipato dalle nere favole di Alice Cooper (magnifico il suo Welcome to my nightmare) e dai personaggi inventati dai Kiss.

Zeppe, latex, make up pesante sono entrati nel lessico di quel periodo, in un gioco che coinvolge in seguito anche Marilyn Manson e i suoi oscuri immaginari. I rivoli di questa visione oscura sono moltissimi, con una produzione che coinvolge molte aree del mondo, un pubblico devoto (alla mostra fioccano i selfie di persone arrivate con look adeguato, o con la chitarra autografata dal loro divo preferito).

L’immaginario è esplorato esattamente nella mostra: moltissime sono le copertine dei dischi, o gli oggetti d’arte utilizzati. Si va dalla spaventosa madre xenomorfa di H. R. Giger, centrale in Alien, alla scandalosa crocifissione secondo Lemmy dei Motorhead (1984), fino alla fionda a forma di Gesù creata sempre da Giger e rappresentata mentre la impugna il diavolo per la copertina di una band svizzera chiamata Celtic Frost (1977). La mostra arriva fino all’attualità, attraversando gli episodi più oscuri, come il black metal nella sua versione norvegese anni ’90, legata ai Mayhem, gruppo noto per la sua violenza (in scena e fuori).

Il metallo, quindi, continua a suscitare apprezzamenti fanatici e odii fortissimi. La provocazione è la lingua principale di questo ramo del rock, che ha sempre basato la sua affermazione sul clamore, della musica e delle scelte estetiche, fino alla volgarità più estrema, alla blasfemia, incarnando un desiderio di ribellione spesso generico negli intenti, quanto violento nelle forme. La mostra alla Philarmonie riassume benissimo tutti gli aspetti di questa vicenda, a lungo reputata effimera, e che ora viene storicizzata.