Sabato 18 Gennaio 2025
ROBERTO DAVIDE
Libri

Voglia di dialetto. E primi fan sono i più giovani

“Topolino“ in edicola con una storia in fiorentino, milanese, napoletano e catanese. L’esperta: "Ci riappropriamo di un patrimonio"

La tavola di fumetti in milanese del nuovo numero di Topolino

La tavola di fumetti in milanese del nuovo numero di Topolino

Papini

Anche a Paperopoli parlano in dialetto? È diffuso il paperopolese? Probabilmente sì, certamente si usano alcuni dialetti delle regioni italiane. Infatti, Paperone, Archimede Pitagorico e i Bassotti sono protagonisti della storia di apertura del numero in edicola di Topolino, realizzata in cinque versioni (a seconda della zona di diffusione): in fiorentino, milanese, napoletano e catanese, oltre a quella in italiano distribuita nelle altre regioni. L’iniziativa presa da Panini Comics (la casa editrice del settimanale disneyano), è stata realizzata in occasione della Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali celebrata ieri e si inserisce in un contesto che vede due grandi case editrici, come Carocci e Il Mulino, proporre collane dedicate alle parlate italiane delle varie regioni. "Gli specialisti non hanno mai abbandonato lo studio dei dialetti come mostrano articoli e libri scientifici", dice Annalisa Nesi, Accademica emerita e segretaria dell’Accademia della Crusca, già professoressa ordinaria di Linguistica italiana all’Università di Siena.

C’è, quindi, un rinnovato interesse editoriale per i dialetti?

"Si può dire che le case editrici hanno di recente rinnovato il loro interesse per la storia dei dialetti italiani e per il profilo di alcuni di essi, mantenendo in quest’ultimo caso descrizioni di respiro regionale. Altro sono le versioni in dialetto di Pinocchio, o, di recente, del Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, ma ancora prima, siamo nella seconda metà dell’Ottocento, quanto Luigi Luciano Bonaparte promuove la traduzione del Vangelo secondo Matteo in vari dialetti. Volendo possiamo risalire ancora più indietro perché la traduzione, il misurarsi del dialetto con la lingua, è stato anche un mezzo per documentare e studiare i dialetti. Le proposte di oggi, come quella dei quattro numeri di Topolino in milanese, catanese, fiorentino e napoletano, e penso ne seguiranno altre, mi sembrano un’operazione interessante per un contatto con il dialetto scritto che spero risentirà anche del cambiamento a cui sono sottoposti i dialetti, come del resto tutte le lingue".

Questo rinnovato interesse per i dialetti nasce anche da una spinta identitaria dei vari territori, da una voglia di chiusura nei propri costumi?

"Non mi pare che la direzione sia quella della chiusura, ma di una riappropriazione e di un invito e un incoraggiamento a non disperdere il patrimonio culturale che i dialetti rappresentano. Poi, dopo la diffusione dell’italiano e il suo consolidamento come lingua di tutti, i dialetti hanno piano piano perso il marchio negativo che avevano (erano sinonimo di ignoranza) e oggi, nonostante il regresso nell’uso che indubbiamente c’è stato, hanno recuperato il loro valore culturale. Sono un mezzo in più per esprimerci. E resta comunque il fatto che dialetto e lingua devono essere protagonisti di un dialogo che tiene insieme unità e diversità".

Che rapporti ci sono tra i giovani e i dialetti?

"I giovani di oggi hanno certamente un rapporto col dialetto. Basti pensare alla musica e a quei generi musicali più seguiti dai ragazzi dove per i testi si ricorre al dialetto, o anche al dialetto, che diventa un’alternativa alla lingua e che aderisce a particolari esigenze espressive e comunicative. Del resto pure il linguaggio giovanile, di fronte a un andamento comune, ha una componente dialettale significativa che si lega alla realtà linguistica locale".

Il rapporto tra media e dialetti: viene meno la spinta unitaria e unificatrice che radio e tv hanno avuto da decenni?

"Oramai da molto tempo questi mezzi hanno perso quella funzione di “maestra di lingua”, che si era attribuita in particolare alla tv, ma si è poi parlato di “specchio di lingua” perché, appunto, ha via via rispecchiato la varietà linguistica presente sul territorio. Un tempo il dialetto lo ascoltavamo nelle canzoni napoletane o nelle commedie dialettali che trasmetteva la televisione, quindi un dialetto come espressione artistica. Oggi è presente soprattutto un italiano comune connotato in misura maggiore o minore di tratti regionali, ma è soprattutto in rete che troviamo un numero sempre crescente di siti dedicati al dialetto o “parlati” in dialetto, fatto che conferma l’interesse per qualcosa di “riscoperto” o di non mai abbandonato".