Ho scoperto John Fante per caso, nei primi anni Novanta, girellando tra gli scaffali di una libreria. Mi aveva colpito il titolo, “La confraternita del Chianti” (l’edizione di Marcos y Marcos aveva forzato il titolo usando “Chianti” al posto di “uva”). Curioso di questo scrittore di origini abruzzesi nato a Denver nel Colorado, aprii il romanzo e lessi la prima pagina. Mi piacque la scrittura e portai a casa il libro. Cominciai a leggere, e dopo trenta pagine telefonai alla libreria: "Per favore, trovatemi tutto quello che potete di John Fante". Dalla sua scrittura sentivo che non mi avrebbe mai deluso, la fiducia nella sua molecola letteraria era senza riserve, e non mi sbagliavo.
Ma parliamo un po’ di questo romanzo, adesso pubblicato da Einaudi con il titolo “La confraternita dell’uva”. Possiamo quasi dire che sia il più importante di Fante, anche se non è mai giusto dire una cosa del genere: l’opera di un grande scrittore va presa nel suo insieme, ogni romanzo o racconto è un frammento del suo percorso. Ma possiamo certamente dire che è un romanzo della maturità, uscito nel 1977, quando Fante aveva 68 anni. Una storia semplice ma profonda, che attraverso le vicende dei personaggi è capace di mettere in scena aspetti umani universali, ciò che ha sempre fatto la grande letteratura. Il suo traduttore, grandissimo conoscitore della cultura americana, Francesco Durante, purtroppo scomparso prematuramente qualche anno fa, lo definiva "il più bel romanzo del Novecento sul rapporto padre figlio", e devo dire che sono d’accordo con lui, affidando lo stesso primato, nell’Ottocento, a Dostoevskij con “I fratelli Karamazov”. Non a caso, proprio nella “Confraternita”, Fante ci racconta il suo incontro giovanile con lo scrittore russo usando parole memorabili, "(…) capii che non sarei mai più stato lo stesso. Il suo nome era Fëdor Michailovič Dostoevskij. Ne sapeva più lui di padri e figli di qualsiasi uomo al mondo (…)".
La “Confraternita” è un romanzo ironico, a tratti amaro, anche sentimentale, commovente, assai divertente, e la scrittura fluisce con leggerezza spingendoci a voltare le pagina (altro dono dei grandi). Fante ci racconta sentimenti complessi con sincerità, mettendo in scena situazioni così reali da sembrare rubate all’autobiografia, e anche questo è appannaggio dei grandi scrittori, che soprattutto quando scrivono in prima persona ci fanno pensare che la storia che stanno raccontando sia vita vissuta. Ma la verità, in letteratura, è “soltanto” la creta con la quale si plasmano le storie, che dunque, anche se “inventate”, hanno la forza della verità e anzi sono vere, ma in un altro modo. Insomma un grande romanzo, un grande scrittore… più apprezzato in Italia e in generale in Europa che in America. Old same story.