
Enrico Fink in “Patrilineare“ ricostruisce le vicende dei suoi avi a Ferrara, intrecciate con quelle dei Bassani e dei Lampronti
La storia ha la forma di cinque pietre d’inciampo. E la loro casa è a Ferrara, in via Mazzini 88, a due passi dal Tempio che fa da sentinella al quartiere ebraico. Su quei frammenti indelebili di memoria campeggiano i nomi di tre famiglie: Fink, Bassani e Lampronti, che un tempo vivevano nello stesso stabile. E si portano dietro una storia lunghissima, che comincia in Russia all’inizio del ‘900 e si conclude con la deportazione ad Auschwitz di gran parte dei protagonisti. A ricostruirla ci ha pensato Enrico Fink – presidente della Comunità ebraica di Firenze, musicista e autore teatrale – in Patrilineare. Una storia di fantasmi, edito da Landau (fra gli ottantuno selezionati per il Premio Strega). Una storia familiare, pur mediata dalla finzione del romanzo, che s’intreccia con quella del nostro Paese e con una porzione consistente dell’ebraismo. Italiano e non solo.
Tutto comincia con Benzion Fink, bisnonno dell’autore, che ai primi del ‘900 si sposta dalla Russia a Gorizia, dove nel 1907 nasce il figlio Isacco. Il destino di quest’ultimo si incrocerà con quello dei Bassani, antichissima famiglia ebraica ferrarese. A Ferrara Isacco si sposa con Laura Bassani (citata da Giorgio Bassani in uno dei due racconti de Le due fiabe, che fa parte della raccolta L’odore del fieno). La famiglia s’allarga. Ma vive prima l’incubo delle leggi razziali, poi quello degli arresti nel 1943, ad opera della polizia fascista. E infine la tragedia, senza ritorno, della deportazione e dello sterminio ad Auschwitz. Si salvano solo Laura Bassani e Guido Fink, rispettivamente la nonna e il padre dello scrittore.
"Volevo riflettere sul rapporto tra memoria e presente – spiega Enrico Fink – Il che significa valutare la giusta distanza tra i morti e i vivi". Nel romanzo lo fa Elias, il giovane musicista che, proprio come l’autore, dopo la morte della nonna comincia a essere perseguitato da un’ombra…
Fink, il concetto di identità è al centro del romanzo. E ci riporta ai fantasmi cui allude il titolo… "Sì. Mi sono chiesto: quanto del passato che ci portiamo dietro fa parte della nostra identità? Elias, il personaggio principale, di quel passato farebbe a meno, ma è costretto a fare i conti con esso".
Cosa l’ha spinta a raccontare la storia della sua famiglia? "Certamente la morte di mia nonna. E ho cominciato a farlo nel ’97 lavorando a uno spettacolo teatrale che ha lo stesso titolo del romanzo".
I Fink si incrociano con i Bassani e anche con il celebre scrittore Giorgio. Chi era Bassani? "È stato importante per me e per mio padre. E mia nonna era molto amica di Giorgio. Il quale però era molto preoccupato. In uno dei suoi racconti, pur cambiandone il nome, l’aveva descritta come una donna né bella né brutta. Temeva che lei se la fosse presa, ma in realtà mia nonna era fiera di far parte di un racconto di Bassani".
Patrilineare è anche uno spettacolo teatrale. È stato più difficile lavorare con la penna dello scrittore o scrivere per il teatro? "Lo spettacolo teatrale assomiglia al romanzo, ma il suo cuore era l’impossibilità della ricostruzione. Nel libro questo problema in qualche modo si risolve".
Come Bassani, lei racconta la storia di una città, Ferrara, durante l’occupazione tedesca e il dramma di una comunità, quella ebraica, inghiottita dalle leggi razziali e dall’inferno senza ritorno della Shoah. Si sente l’erede di Bassani? "Non oserei mai".
Sua nonna Laura e suo padre Guido furono gli unici a salvarsi dalla deportazione. In che modo? "Durante l’eccidio fascista del ’43 al Castello di Ferrara, dove morirono diverse persone, e altre, tra cui mio nonno, furono arrestate, mia nonna e mio padre si salvarono rifugiandosi in una fabbrica di materassi. Ma la loro salvezza la devono soprattutto a mio nonno Isacco, che li spinse a scappare. Così si rifugiarono in campagna sotto falso nome con l’aiuto di Edvige Massari, la donna di servizio di casa Bassani, che diede a mia nonna un documento con il quale riuscì a falsificare la sua identità. Molti ebrei invece restarono in città. Pensavano che non sarebbe successo nulla, consegnandosi di fatto ai nazifascisti".
Le pietre d’inciampo ferraresi e il suo libro ci invitano a ricordare. Come possiamo farlo nel modo migliore? "Bisogna concentrarsi non solo sulle vittime ma anche sulla società italiana. Che appena ottanta anni fa ha potuto essere istituzionalmente razzista per legge. Per questo dobbiamo fare davvero i conti col nostro passato".