Irvine Welsh è in tour in Italia per presentare il suo ultimo romanzo Resolution edito da Guanda e capitolo finale della trilogia – iniziata con Crime e proseguita con The Long Knives – che vede l’ormai ex detective Ray Lennox come protagonista. Stasera lo scrittore scozzese sarà a Bologna dove presenterà al cinema Odeon il film (del 1996) Trainspotting di Danny Boyle tratto dal suo romanzo pubblicato nel 1993 (e poi qualche anno dopo in Italia), poi al Bravo Caffè in dialogo con Enrico Brizzi su Resolution e infine al Locomotiv club in seconda serata per un dj set che prevederà certamente anche ‘inni’ dell’Acid House. Born Slippy degli Underworld su tutti.
Sono passati oltre trent’anni da quando scrisse Trainspotting. Narrava la vita di ragazzi tossici a Edimburgo nella cornice del collasso della società consumistica britannica. Come sarebbe il contesto oggi?
"L’equivalente sarebbe di persone intrappolate nelle proprie case, le loro dipendenze sarebbero le scommesse online, la pornografia, con ragazzi che, paradossalmente, per avere un’erezione davanti a un porno online devono ricorrere al viagra, che è un’altra assuefazione alle droghe, che oggi sono anche quelle della farmacia, non solo quelle di strada. Tutto è pensato per creare dipendenze, anche dal cibo. Sarebbero dunque ragazzi dipendenti dai delivery veloci che arrivano a casa, sarebbero dipendenti da droghe e alcol a buon mercato, ma tutto questo avverrebbe in casa. Manca proprio l’elemento della socialità e della strada. Questo avviene anche per le aspirazioni. Un tempo uno spacciatore cercava di guadagnarsi la credibilità sulla strada, ora non è più così. E le ragazze degli spacciatori ora hanno come ambizione quella di diventare porno attrici online. Quello che è successo e sta succedendo è che Internet ha portato via la cultura dalla strada. E questo è particolarmente grave per le persone che vivono situazioni di disagio e restano isolate".
Cosa rende ancora interessante Trainspotting oggi, per un lettore sotto i trent’anni?
"Si tratta di un romanzo generazionale che riguarda un’età giovane, una fase di transizione. Tutti i romanzi che parlano di questa fase di vita, della giovinezza, solitamente rimangono nel tempo. E quindi quando parla di argomenti che sono simili tra generazioni, un romanzo si tramanda più facilmente a quelle più giovani. Mi viene in mente Sulla strada di Kerouak. Tainspotting parlava di questa transizione, del trovare un lavoro per esempio, e trova delle similitudini tra quella che era la working class industriale di vecchio stampo e il precariato di oggi. Il problema di fondo è sempre lo stesso, avere incertezza sul futuro, sul lavoro".
La domanda che lei si fece allora su che stile di scrittura avere è lo stesso che ha avuto dopo e fino ad ora?
"Il mio modo di scrivere è sempre legato al personaggio di cui sto scrivendo e immagino il modo in cui pensa e dialoga con le altre persone. Ho scritto una novella intitolata In Real Time per London Books e ho notato che il linguaggio è diventato più sofisticato, per certi versi. Ora le persone si esprimono in una maniera più blanda, tutti parlano un inglese che è una sorta di versione transatlantica della lingua inglese e sarà sempre più così, tutti avranno lo stesso accento, ci sarà un’omologazione della comunicazione e paradossalmente potrebbe diventare più interessante ascoltare l’intelligenza artificiale, piuttosto che gli esseri umani".
Resolution è l’ultimo capitolo della trilogia con Ray Lennox. Cosa pensa della narrazione seriale?
"Sono sempre interessato a fare riemergere dei personaggi da libri precedenti, ma non sono mai stato interessato a rendere un personaggio una macchietta, che ripropone le stesse cose. La serializzazione piace agli editori perché per loro è più facile vendere un personaggio che diventa un brand e questo va di pari passo con il mondo che diventa più conservatore, dove la familiarità con qualcuno che torna più volte è ricercata".
Ray Lennox ricomincia da capo in Resolution, abbandona il passato con ossessioni e dipendenze e cerca una nuova vita, fuori dai guai. Ma una risoluzione è davvero possibile per l’essere umano?
"La “resolution“ definitiva per l’essere umano è quella di passare a miglior vita. Dipende molto da quello che si intende col termine. Ma credo che gli esseri umani abbiano molto bisogno di conflitto per crescere. Perché ultimamente nella società c’è il vizio di catastrofizzare tutto, ci si sente quasi in diritto di non avere nessun tipo di sofferenza, per cui, qualsiasi cosa possa offendere con le parole o possa dare noia, deve essere eliminata con tutti i mezzi perché nessuno deve soffrire minimanete. La sofferenza, invece, fa parte della crescita e qualsiasi avversità l’essere umano si trovi ad affrontare, compreso il dolore, è necessaria".