Domenica 4 Agosto 2024
SIMONE ARMINIO
Libri

Sono Demoni. Nel sottosuolo i nuovi re di Roma

Nell’ultimo libro Lirio Abbate indaga l’“altra“ criminalità: "Gente violenta, finora sottovalutata: eppure governa la città" .

Lirio Abbate, 53 anni

Lirio Abbate, 53 anni

Roma, 4 luglio 2024 _ I demoni ormai controllano la città e sono “Brutti forte”. Un commento di particolare rilevanza se a farlo, in un’intercettazione, è Massimo Carminati, il cecato, uno dei Re di Roma. Ma "Quello era il mondo di mezzo, che è stato già lungamente descritto – spiega Lirio Abbate, giornalista, già autore di libri e inchieste sulla nuova criminalità romana –. Ora bisognava raccontare il mondo di sotto, e nel sottosuolo, appunto, vivono i demoni".

“Demoni” è il titolo del suo nuovo libro, da pochi giorni in libreria per Rizzoli. Ma chi sono, dunque?

"Il sottosuolo romano è animato da mafiosi, assassini, narcotrafficanti. Uomini e donne che spesso passano inosservati. Gente spietata".

Colpisce nel suo libro, infatti, soprattutto la violenza con cui operano.

"I fatti documentati raccontano di botte, omicidi e torture spietate, fatte di gomma incandescente sulla pelle e spilli infilati sotto le unghie".

Un mondo eterogeneo, che va dai camorristi agli albanesi.

"Un’umanità differente e finora sottovalutata. Eppure è gente che governa la città. Una nuova categoria che non ha un capo, una cupola, ma si conosce e si riconosce a vicenda, e sa sedersi a un tavolo per dividersi la gestione del territorio".

Ma i demoni sono tuttora invisibili?

"No, grazie alle inchieste e ai fatti degli ultimi anni, da Mafia Capitale alla morte di ‘Diabolik’ Piscitelli in poi, si è presa consapevolezza del loro mondo, delle forze in campo, del fiume di droga e di armi che attraversa la città. Un esercito di gente pronta a tutto, e che non disdegna l’aiuto di professionisti, tifosi, forze dell’ordine, insospettabili".

Perché secondo lei non si è riusciti a intercettarli prima?

"Semplicemente: perché questa gente non parlava in siciliano o in calabrese, non aveva la coppola, non sparava con la lupara. C’è stata una discriminazione al contrario. Se uccidi, usi violenza, intimidisci, sopraffai, ma parli in romanesco, allora non c’è aggravante mafiosa. Non fai paura, sei picaresco. Il tuo volto è gommoso, il tuo sguardo non taglia come quello dei boss siciliani. Ma nel frattempo i demoni si sono mangiati Roma".

Una sottovalutazione che è stata anche giudiziaria. Michele ’O pazzo, condannato all’ergastolo, ha per anni evitato il carcere grazie a una presunta malattia mentale. E non è stato il solo.

"Ci sono intercettazioni ai limiti del comico, in cui i boss rivendicano i loro malanni psichici, lasciapassare sicuri per non finire dietro le sbarre".

Lei da quando si occupa di criminalità romana?

"È del 2012 la mia prima inchiesta in cui raccontavo di Carminati e dei Re di Roma. Dopo il mondo di mezzo bisognava descrivere il mondo di sotto. Il prossimo compito, in una ideale trilogia, sarà descrivere il mondo di sopra".

In “Demoni” è descritta la saldatura tra criminali albanesi a Roma e i grandi clan internazionali di Tirana. Com’è avvenuta?

"È gente che si riconosce, come avviene anche tra i piccoli criminali siciliani e calabresi emigrati e le grandi cosche della terra madre con cui a un certo punto prendono contatti. La stessa cosa avviene tra gli albanesi e i clan italiani o i criminali romani. Dalle carte emerge chiaramente come ciascuno, quando serve, riconosca e rispetti il ruolo e l’importanza dell’altro. Ci si siede attorno a un tavolo, l’obiettivo è comune: governare la città, una zona per ciascuno".

Ha avuto riscontri dalle sue inchieste? Scriverne è ancora utile?

"Ho ricevuto delle email importanti da parte dei familiari di alcune vittime. Messaggi e parole molto forti che forse, chissà, un tempo troveranno spazio. Per cui, sì: scrivere è ancora utile".