Roma, 24 ottobre 2024 – "Soldato ma poeta". Giuseppe Ungaretti si era definito così in una lettera a Giovanni Papini, al tempo delle battaglie attorno al monte San Michele. Una definizione ribaltata nei termini, per diventare Ungaretti poeta e soldato, "poiché qui ogni cosa nasce dalla poesia, da quella poesia nuovissima, ripulita di tutto e vestita solo dell’essenziale, contenuta nel Porto sepolto".
Marco Goldin spiega così il titolo del grande progetto multidisciplinare, dedicato al poeta del Carso e al suo ruolo al fronte durante la Prima guerra mondiale, diviso in due capitoli: Ungaretti poeta e soldato. Il Carso e l’anima del mondo. Poesia pittura storia, che si svolge tra il Museo di Santa Chiara a Gorizia e la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone, entrambe da sabato al 4 maggio.
La parte goriziana è il racconto completo della storia di Ungaretti sul Carso, la descrizione delle battaglie a cui ha partecipato, i momenti di riposo in retrovia, i congedi, e il racconto dei luoghi, fino al loro così caratteristico aspetto morfologico. Il tutto coordinato da Lucio Fabi, esperto della materia. Lo storico Nicola Labanca, professore dell’Università di Siena, introduce invece i motivi dello scoppio della Prima guerra mondiale e l’ingresso dell’Italia nel conflitto fino al fronte sul Carso.
Al centro c’è comunque la scrittura delle poesie, e la pubblicazione a Udine, in ottanta soli esemplari nel dicembre 1916, a cura di Ettore Serra, de Il porto sepolto, quel primo libretto ungarettiano che nasce proprio dall’esperienza della Grande Guerra. Due tra i maggiori poeti italiani contemporanei, Paolo Ruffilli e Maurizio Cucchi, si sono occupati dell’analisi della raccolta di liriche.
La mostra nella sede di Monfalcone è il suggestivo contraltare di quella goriziana, attraverso il racconto dell’arte che nelle Venezie si sviluppò nel secondo decennio del Novecento, dunque negli anni stessi in cui il poeta si trovava sul Carso e scriveva quelle poesie così straordinariamente nuove, che confluirono nell’edizione del dicembre del 1916 de Il porto sepolto.
Dire anni Dieci nelle Venezie significa dire soprattutto Ca’ Pesaro, uno dei luoghi dell’avanguardia italiana, palazzo nelle cui mostre, dirette dal mitico Nino Barbantini, confluivano autori veneti, trentini e dell’attuale Friuli Venezia Giulia, oltre a ospiti esterni del calibro per esempio di Umberto Boccioni e Felice Casorati. Non mancano nella sede di Monfalcone anche figure importanti per la regione Friuli Venezia Giulia stessa, come per esempio i triestini Gino Parin e Edgardo Sambo Cappelletto, oltre a Guido Marussig, anche lui nato a Trieste, che di Ca’ Pesaro fu una delle iniziali colonne portanti, con le sue sei partecipazioni dalle due mostre del 1908 fino a quella del 1913.
L’esposizione ospitata nelle sale della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, con una cinquantina tra dipinti e le sculture di Arturo Martini, è quindi un vero e proprio affresco di un’epoca con i caratteri dell’eccezionalità per gli autori scelti, e segue quel secondo decennio del secolo. Il punto di partenza è la figura di Umberto Boccioni, che tra l’altro nella mostra estiva del 1910 a Ca’ Pesaro fu presente con una vera e propria personale di 42 opere. Accanto alla sua, la seconda presenza fondamentale extra vagante rispetto al territorio delle Venezie è quella di Felice Casorati, che soprattutto nella mostra capesarina del 1913 fa la parte del leone, con 41 opere. A seguire, un panorama fatto di altri artisti che hanno reso in quel decennio la pittura nelle Venezie tra le più avanzate d’Italia: ovviamente dai due capofila, Gino Rossi con i suoi quadri e Arturo Martini con le sue sculture. E poi altri nomi come quelli di Umberto Moggioli e Pio Semeghini, Aldo Voltolin e Nino Springolo.
"Più che una mostra è un viaggio – spiega Goldin – che parte dalla pittura, attraversa la poesia e la storia diventa due mostre, un film, due documentari. Quando ho iniziato a pensare a questo progetto l’idea era di chiedere ad un certo numero di artisti di dipingere il Carso, il corso dell’Isonzo e il volto del poeta. La mostra di Gorizia mi fa così tornare alle mie origini e all’amore per la pittura del mio tempo. Poi ha preso corpo dentro di me il desiderio di raccontare questi due anni di Ungaretti".