Domenica 6 Ottobre 2024
MARCO VICHI
Libri

Silvano Ceccherini, il “Jean Genet italiano“

Con Marco Vichi alla “Ricerca del libro perduto”: il romanzo "La traduzione" di Silvano Ceccherini, riscoperto nel 2014 grazie a Elliot, racconta un viaggio interiore di un detenuto tra carcere e libertà, esplorando temi universali con una prosa poetica e senza eccessi retorici.

Silvano Ceccherini, il “Jean Genet italiano“

Il romanzo "La traduzione" di Silvano Ceccherini, riscoperto nel 2014 grazie a Elliot, racconta un viaggio interiore di un detenuto tra carcere e libertà, esplorando temi universali con una prosa poetica e senza eccessi retorici.

Firenze, 1 settembre 2024 – Un altro recupero importante, avvenuto nel 2014 per merito di Elliot, è il romanzo “La traduzione” di Silvano Ceccherini. Uscito per la prima volta nel ’63 per Feltrinelli, e poi per Garzanti nel ’77, si era perso nel nulla. Lo lessi tanti anni fa su suggerimento di qualcuno. È così che a volte si scoprono i libri: "Conosci questo romanzo? È bellissimo, te lo consiglio". E così mi trovai davanti a questa sorpresa letteraria. Ceccherini, classe 1915, soprannominato il “Jean Genet italiano”, quarta elementare, scaricatore di porto, anarchico, legionario, bandito, catturato e condannato a diciotto anni di reclusione. La traduzione è il suo esordio letterario, ma la traduzione non riguarda la trasposizione di un testo da una lingua all’altra, ma il trasferimento di un detenuto da un carcere a un altro. Ceccherini in questo romanzo non ci fa vivere soltanto sulle rotaie di un trasporto fisico, ci fa innanzitutto vivere il suo viaggio interiore, possiamo dire la sua Odissea, prendendo a prestito questa parola che ormai per antonomasia significa “un viaggio pieno di peripezie”. Ma appunto queste peripezie sono soprattutto intime, vissute lungo i binari del trasferimento scortato dalle guardie.

Ceccherini ci accompagna nella parte nascosta del viaggio sentimentale di un uomo che vive in un mondo nascosto come quello del carcere. Un mondo sotterraneo dove vengono seppellite le scorie dell’ingiustizia di ogni società “civile” che invece di fare i conti con se stessa toglie di mezzo in modo sbrigativo i propri errori. Un viaggio doloroso, poetico… mi viene da dire crudamente poetico. Le semplici cose della vita quotidiana, che una persona libera trascura, si trasformano in uno sguardo universale sull’esistenza.

Una piccola curiosità: durante i rari corsi di scrittura che ho fatto nella mia vita, dopo aver detto che non esistono né regole né manuali per scrivere un romanzo (è quello che penso), facevo alcune osservazioni generali, una delle quali era sull’uso dell’aggettivo prima del sostantivo. Invitavo gli aspiranti scrittori, soprattutto in fase di rilettura, a riflettere sulla questione, cioè a chiedersi: l’aggettivo prima del sostantivo in questo caso è necessario e voluto e giusto, oppure è soltanto un espediente per cercare dare di dare più forza alla prosa? Di fatto ottenendo l’effetto opposto, appesantendo la frase con un orpello retorico. Dunque: state attenti perché spesso l’aggettivo prima del sostantivo può provocare effetti indesiderati. E subito aggiungevo (anche a riprova del fatto che in letteratura non possono esistere regole): ma nel romanzo La traduzione di Silvano Ceccherini quasi tutti i sostantivi sono preceduti da un aggettivo, e sono assolutamente giusti, direi necessari, mai retorici, perché appartengono a quel tipo di “musica” che lui ha trovato per raccontare la sua storia.