Roma, 28 marzo 2024 – Una volta scrisse su un copione, per spiegare bene la scena a tecnici e regista, che "intanto gli uccellini cazzeggiano sui rami". La spiegava così: "Do sempre titoli alle singole scene, spesso sono spiritosi, interessanti, così gli specialisti capiscono al volo che cosa voglio": Abdulah Sidran è stato un famoso poeta, il più amato in Bosnia, rispettato in tutti i Balcani, ma è noto da noi soprattutto come sceneggiatore. È morto nei giorni scorsi all’età di 79 anni, e i più lo ricordano per i primi due film del regista Emir Kusturica, sarajevese come lui, di dieci anni più giovane: Ti ricordi di Dolly Bell? , Leone d’oro opera prima a Venezia nel 1981, e Papà è in viaggio d’affari , Palma d’oro a Cannes quattro anni dopo.
Sidran era intenso, evocativo, ironico come i titoli che metteva sui copioni all’inizio di ogni scena. Eppure ha raccontato – e vissuto – vicende più che travagliate. Le sceneggiature degli stessi film di Kusturica corrispondono alla sua biografia: i rapporti col padre, partigiano titino poi finito in disgrazia e morto cinquantenne, e più ancora con la storia e con il suo mondo, cioè Sarajevo, la Bosnia, la Jugoslavia. Sidran non lasciò la sua città nemmeno nei 1425 giorni dell’assedio (1992-1996) attuato dalle milizie serbe e dalla sua modesta casa di via Kate Govorušić continuò a lavorare, a scrivere poesie e sceneggiature, a chiedere attenzione al mondo, e all’Europa in primis, per il suo sfortunato paese. Nel ‘92, nei primi tempi dell’assedio, in un’intervista con un quotidiano francese si rivolse ai popoli europei con toni disperati ma anche ironici: "Non abbiate timore, cercate d resistere, noi siamo dalla vosta parte! Noi, bosniaci, siamo europei da sempre, e non ci siamo mai sentiti altro se non europei".
Ma l’Europa e la comunità internazionale hanno fatto ben poco per la Bosnia e il poeta Sidran non ha perso occasione, negli ultimi anni, per alzare il suo rimprovero. Hanno fatto gli osservatori, diceva, e hanno permesso che qui nelle scuole ci siano classi e ingressi differenziati a seconda della nazionalità, fra serbi, croati, bosgnacchi, come sarebbe impensabile in Francia, Germania o qualsiasi altro paese. Era severo, Sidran, ma non scoraggiato, perché convinto di appartenere a un popolo dalle risorse morali quasi inesauribili.
Su Sarajevo e sulla fine della Jugoslavia si frantumò il suo legame con Kusturica. Il regista lasciò la città in favore di Belgrado, con gesto clamoroso e molto discusso, avvicinandosi alle ragioni del nazionalismo serbo. "Kusturica è un “rigettato“ – disse Sidran qualche tempo dopo a Piero Del Giudice, autore di Sarajevo! (edizioni e, 1996) – come Kurt Hamsun, lo scrittore norvegese collaborazionista dei tedeschi, cui la gente rimandava per posta i libri. All’inizio della guerra mi ha offerto un aereo personale e una grande somma per un nuovo film. Ho rifiutato e sono rimasto a Sarajevo, qui ho scritto la sceneggiatura di Tabut (Sepolcri), il film che stiamo girando nella città assediata".
Col regista si erano conosciuti nei corridoi della tv di stato bosniaca, uno poeta già affermato, l’altro neo diplomato alla Scuola di cinematografia di Praga; non furono mai troppo intimi, per lo scarto d’età e il diverso temperamento, semmai complementari e forti della reciproca stima. "Emir – parole di Sidran – aveva tutto quello che non avevo io: la sicurezza, la determinazione sfacciata. Un talento come una roccia".
Papà è in viaggio d’affari ha per protagonista il ragazzino Dino, l’alter ego di Abdulah, e racconta la vicenda del padre, prelevato dalla polizia politica al tempo delle epurazioni, in seno al partito comunista jugoslavo, degli elementi stalinisti, o supposti tali: erano i convulsi anni – 1948 e ‘49 – successivi alla rottura fra Tito e l’Unione sovietica. Il padre di Sidran, Mehmed, operaio metalmeccanico, combattente nella resistenza, per un periodo anche vice ministro della repubblica di Bosnia Erzegovina, un idealista che non congiurava affatto contro il regime, si ritrovò così a Goli Otok, l’Isola calva, famigerato gulag per dissidenti politici. La famiglia Sidran (madre e quattro figli) ne fu sconvolta e un paio d’anni dopo raggiunse l’uomo al confino a Zvornik, dove Abdulah passò parte dell’infanzia, prima di rientrare a Sarajevo, dove i Sidran vissero da declassati, in un alloggio popolare modestissimo.
Eppure in Papà è in viaggio d’affari , come in Ti ricordi di Dolly Bell? , e anche in opere successive, la denuncia dei lati più spietati e anche più grotteschi del socialismo jugoslavo in Sidran non è mai troppo pungente; si avverte semmai una punta di quella che sarà chiamata “jugonostalgia”. Il poeta non nascondeva a sé stesso, e tanto meno agli altri, di avere "un legame affettivo" con l’epoca socialista, nonostante tutti i suoi evidenti limiti: "Continuo a pensare – disse ancora a Del Giudice, curatore di Romanzo balcanico (Aliberti 2009), opera-mondo dedicata a Sidran – che quel sentimento collettivo fosse positivo, a differenza di questo altro sentimento etnico, comunitario".
Ma Sidran è morto convinto che nonostante le ferite della guerra e il travaso di popolazione, con oltre la metà degli abitanti proveniente da altre parti della Bosnia, "Sarajevo non è più ciò che era, ma resta Sarajevo", la città nella quale – lo diceva con orgoglio – "al tempo del primo censimento asburgico (1910) si parlavano 48 lingue", e di cui è stato innamorato per tutta la vita.