Domenica 2 Febbraio 2025
Giorgia Messa
Libri

Shifra Horn: "Le figlie di Gerusalemme sono delle sopravvissute. Ora hanno bisogno di pace"

La scrittrice israeliana nel nuovo romanzo scava nelle proprie origini familiari "La letteratura è uno strumento per preservare la memoria collettiva e condividere valori".

Uno scorcio di Gerusalemme. La città. fa da sfondo al nuovo romanzo di Shifra Horn, una storia che spazia dall’età vittoriana al XXI secolo

Uno scorcio di Gerusalemme. La città. fa da sfondo al nuovo romanzo di Shifra Horn, una storia che spazia dall’età vittoriana al XXI secolo

"Il viaggio verso le mie radici mi ha aiutato a capire perché scrivo e perché mi sento una sopravvissuta di seconda generazione dell’Olocausto". Shifra Horn, una delle più affermate scrittrici israeliane contemporanee, celebra l’importanza di conoscere le proprie origini e ne fa il centro del suo ultimo libro Figlie di Gerusalemme (Fazi editore, traduzione di Silvia Pin). Una saga familiare tutta al femminile, in cui la storia di cinque donne si intreccia a quella del popolo israeliano, dall’epoca vittoriana al XXI secolo. Nata a Tel Aviv da madre sefardita e padre russo, cresciuta a Gerusalemme, la Horn è profondamente legata alla sua terra, da sempre fonte di ispirazione.

Horn, che aria si respira in questi giorni nella sua amata Israele? "Si passa dalla soddisfazione per la tregua con Hamas al profondo dolore per il terribile prezzo che verrà pagato. Temiamo che molti prigionieri, ormai, saranno restituiti in bare e ci chiediamo perché non si sia arrivati prima a questo accordo. Inoltre, abbiamo la quasi certezza che Hamas non rispetterà a lungo le intese, riprendendo con droni e lanci di razzi".

Lei si è definita una sopravvissuta di seconda generazione alla Shoah. Cosa significa sopravvivere a tragedie come queste e che impatto ha sulle generazioni a venire? "Essere sopravvissuti suscita un mix di emozioni, che vanno dalla gratitudine al senso di colpa per coloro che sono rimasti indietro e che non ce l’hanno fatta. L’impatto del 7 ottobre sulle future generazioni è molto preoccupante, poiché quell’esperienza ha diffuso la sensazione che il governo non sia in grado di garantire la sicurezza del Paese. Sappiamo tutti che Israele dovrà affrontare ulteriori problemi, sia con gli Stati vicini che al suo interno, e condizioni economiche in peggioramento".

Oggi la parola identità subisce derive ideologiche volte a dividere e ad alimentare conflitti; il suo romanzo ci invita a riscoprirne il lato bello, inteso come senso di appartenenza che forgia l’individuo. Che peso ha avuto su di lei l’eredità culturale della sua famiglia? "Un peso cruciale; mi ha formata. Avendo partecipato al famoso show televisivo Who Do You Think You Are (programma sull’albero genealogico di personaggi famosi, nato in Inghilterra e poi diffuso in altri Paesi, ndr), ho potuto scoprire molte cose sui miei avi. Ad esempio, le origini spagnole del ramo materno e che un mio antenato era il filosofo/medico Maimonide. Ho capito anche perché mia madre si sia sempre sentita perseguitata: discendeva da ebrei costretti ad adottare un’identità musulmana a causa dell’"accusa del sangue" a Mashhad, in Iran (nel XIX secolo). A Odessa, poi, ho visitato le catacombe in cui la famiglia di mio padre fu uccisa dai nazisti. Ora comprendo la tristezza che ha accompagnato mio padre per tutta la vita".

Citando Amos Oz, ha dichiarato che per scrivere un libro devono avverarsi due condizioni che in lei si sono realizzate. La prima: un’infanzia difficile. "Sono cresciuta a Gerusalemme, negli anni ‘50, con genitori comunisti. Furono trattati molto male (proprio come accadeva negli Usa con il maccartismo). Questo fece sì che subissi molti abusi verbali a scuola e nel nostro quartiere".

La seconda: una nonna che racconta storie. "Sono nata con quattro generazioni di donne ancora in vita. Ricordo le bisnonne di mia madre; quando si riunivano, ascoltavo storie dell’epoca ottomana – un periodo molto difficile ma interessante in terra d’Israele – e poi della Prima guerra mondiale e del Mandato britannico. Da qui ho attinto lo sfondo storico di molti miei libri".

Anche Alexandra, la protagonista del suo romanzo, decide di raccontare in un libro l’epopea, tutta al femminile, delle sue antenate. Quanto c’è di Shifra in Alexandra? "Quando nacqui, mi fu dato il nome ‘Sasha Alexandra’ in onore di mia nonna paterna, uccisa a Odessa durante l’Olocausto. Shifra è il mio nome ebraico. Io sono l’Alexandra del mio libro. Entrambe siamo scrittrici, nessuna delle due ha avuto un’infanzia facile ed entrambe siamo “topi da biblioteca”, creature emotive e non sempre comprese".

Che ruolo ha, secondo lei, la letteratura nella storia degli individui e dei popoli? Crede che possa contribuire a creare ponti? "La letteratura è uno strumento per preservare la memoria collettiva, plasmare l’identità e condividere valori. È un mezzo per elaborare eventi storici, dar voce a chi non viene ascoltato e comprendere l’altro. La letteratura può davvero fare da ponte tra popoli in conflitto, aiutando a capire l’altra parte e rompendo stereotipi e pregiudizi".

Ci sono scrittori palestinesi tra i suoi riferimenti letterari? "Purtroppo non posso leggere l’arabo, ma ci sono diversi poeti palestinesi tradotti in ebraico. Uno dei più significativi, per me, è Mahmoud Darwish; trovo i suoi versi profondi e coinvolgenti".

Cosa si augura per il futuro della sua terra e per tutte le “figlie di Gerusalemme”? "Pace. Pace. Pace. Una vita tranquilla e normale".