In Germania è una star, autore di numerosi thriller, nel 2006 il suo primo romanzo primeggiava insieme a “Il Codice da Vinci” nelle classifiche. Oggi ci propone lo psico-thriller “Portami a casa” (Fazi). Lui è Sebastian Fitzek e si è raccontato nei nostri studi per “Il piacere della lettura”.
Nel suo romanzo parla di violenza domestica, sessuale e tentato femminicidio. Sono piaghe sociali anche in Germania?
Sì, ogni giorno un uomo cerca di uccidere la partner e ogni secondo giorno ci riesce. Si tratta di numeri allarmanti che mi colpiscono profondamente come uomo, marito e padre di famiglia.
Protagonisti una vittima di violenza, Klara, e Jules, che risponde alla linea antiviolenza.
L'aggancio me lo ha dato una lettrice che lavorava volontariamente per questa linea verde, una voce che accompagna e tranquillizza. Da lì ho iniziato a pensare a una donna che non avesse paura di andare a casa, ma di rientrare a casa. I personaggi fanno un viaggio interiore, faccio cadere la maschera che tutti gli esseri umani portano.
“Le paure erano legate a una figura maschile”, scrive...
Da bambini o adolescenti, i maschi hanno una serie di dubbi e complessi di inferiorità che la nostra società non permette loro di esternare. In centinaia di migliaia di casi, questi complessi trovano sfogo in maniera violenta, soprattutto contro le donne. Poi si cerca di rieducare chi ha già commesso il crimine. Bisognerebbe iniziare molto prima, seguendo i bambini che vengono bullizzati o che subiscono traumi. È scientificamente provato che chi ha subito violenza nella propria infanzia è più propenso a essere vittima o a perpetrare violenza.
Marito, a volte, può essere una parola terrificante. Martin, marito di Klara, la picchia, la umilia e dice che la ama.
La violenza riguarda tutte le classi sociali e tutti i ceti. È un pregiudizio dire che la violenza è fatta solo da ubriaconi poco acculturati. Anzi, le donne devono affrontare una doppia difficoltà: il nemico in casa e la famiglia che non crede che la brava persona che hanno sposato possa commettere violenza. Cerco sempre di indagare le ragioni che hanno portato a commettere crimini efferati. La violenza ha un’origine distorta, un’infanzia traumatizzata che ha turbato la psiche. Nel romanzo voglio sollevare il quesito sul perché vengono commesse queste violenze, per capire come evitarle.
Narra di colpe dei genitori. È il loro esempio che determina il futuro dei figli?
L'elemento cardine sono sempre i bambini. Io ne ho cinque e voglio parlare di loro. In un passo, la donna viene accusata di essere responsabile, colpevole di un vittimismo che rende i maschi violenti. È un punto di vista maschile e maschilista che Klara smaschera subito. Non bisogna mai commettere lo sbaglio di invertire la posizione tra la vittima e il carnefice: una vittima è vittima per colpa di un carnefice. È vero, però, che i genitori, con il loro esempio, non si rendono conto di quanti danni arrecano ai figli, dalla violenza verbale a quella fisica. Questo può avere delle conseguenze devastanti.
La persona che gestisce il “festino”, luogo di violenza, è una donna. Perché?
Le donne hanno un ruolo centrale in alcuni crimini. Nei miei libri, poi, esploro le eccezioni. Non voglio stigmatizzare né gli uomini né le donne, io divido il mondo in buoni e cattivi. Purtroppo questi festini a Berlino si svolgono veramente.
Che cosa direbbe alle lettrici e ai lettori italiani?
Spero sceglieranno anche questa volta di intraprendere un viaggio nel mio romanzo. Cerco sempre di includere l’effetto sorpresa per dare un’altra prospettiva. E c’è anche questa volta. Spero piaccia.