
Autoritratto di Hélène de Beauvoir (1910-2001), pittrice francese, sorella minore della scrittrice. Simone, che fu sua grande sostenitrice
"Ho pensato che le donne adorano vivere nel pericolo della passione. Adorano sfiorare il rischio, la tragedia. Abbiamo troppo coraggio, troppa forza nei nostri cervelli e nei nostri cuori per accontentarci della routine, dei pranzi in famiglia, delle vacanze al mare. Abbiamo bisogno di sfiorare la morte, l’avventura". In questo passaggio del nuovo romanzo di Rossana Campo, Libere e un po’ bastarde (Bompiani), si percepisce la stima, l’ammirazione della scrittrice genovese per le donne nonché il suo modo di intendere e narrare il femminile.
Bisogna essere bastarde per essere se stesse?
"Sin dai miei esordi amo provocare e giocare con i titoli. Sono poi rimasta colpita, in un’intervista a delle signore americane molto alternative e parecchio grandi, che una di esse dicesse di sentirsi una “vecchia bastarda“. Di solito sono gli uomini a definirsi così, con compiacimento anche, mentre l’accezione di questo termine nel femminile non è positiva. Le donne dovrebbero autorizzarsi a non essere sempre dolci, remissive, servizievoli".
Le sue protagoniste non sono delle bastarde. Sono declinazioni della libera scelta?
"Mi piace raccontare il desiderio di libertà femminile, perché ne abbiamo tanto e ci è mancato per secoli, se non millenni".
È un romanzo sul desiderio?
"Certo, in particolare sul desiderio di libertà, quindi di sperimentare tante cose nei legami e nel sesso. Oggi ci sono molti libri sulle saghe familiari, per me la famiglia è sempre stata quella che ognuno crea non necessariamente con un marito e i legami di sangue. La mia famiglia sono sempre state le amiche".
Com’è stato essere una donna che ha tanto anticipato i tempi, parlando di cose che sono arrivate a livello collettivo solo successivamente?
"Ho esordito nel 1992, vivevo in una realtà di provincia e non vengo da una famiglia di intellettuali. Da ragazzina è stato fondamentale leggere Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Colette, figure interessanti dal punto di vista letterario ma soprattutto delle loro biografie. Loro sperimentavano senza limiti, ponevano anche in modo naturale quello che si potrebbe chiamare oggi bisessualità, ma in fondo nemmeno la definivano così.
Quale è stata l’autrice che più l’ha colpita?
"Simone De Beauvoir, i quattro tomi dell’autobiografia sono strepitosi, e sicuramente i diari di Anais Nin e Colette".
I suoi libri rispecchiano i cambiamenti delle relazioni?
"Non parto mai da teorie o concetti astratti, ho scritto sempre di donne, di relazioni privilegiate con le altre. Come diceva Virginia Woolf, parlare di donne, di violenza maschile è anche parlare di temi come la guerra, la pace, perché sono argomenti affrontati con modalità patriarcali. Credo che una femminilizzazione della società, intesa come dismissione delle strutture costruite sul e dal maschile, e del pensiero politico, gioverebbe a tutti".
Come si lavora in questo senso sul linguaggio?
"Il linguaggio è tutto: crea la realtà, il pensiero, perciò penso sia importante dire sindaca, ministra, architetta, avvocata, perché finché una cosa non esiste nella lingua, non esiste nel pensiero e non esisterà neanche nella realtà".
Nel libro ci sono pochi uomini.
"Io lavoro sulle storie, le seguo insieme ai personaggi. Mi sono accorta che, in tanti romanzi scritti dagli uomini, i personaggi centrali erano sempre maschi e le donne figurine di contorno; se erano le protagoniste, vedi Anna Karenina o Madame Bovary, venivano punite o facevano una brutta fine. L’opera lirica è un esempio del trattamento riservato a esse. Quando le donne hanno cominciato a scrivere le loro storie, guarda un po’, non ammazzano le loro eroine né le fanno morire di suicidio, di malattia. Credo sarebbe una cosa originale, in letteratura, mettere da parte i personaggi maschili e rivolgersi al nuovo".
Nel libro cita Andrea Dworkin sul matrimonio.
"La Dworkin è stata molto radicale, pensiamo al suo studio su de Sade, personaggio importantissimo nella cultura francese per la libertà di esprimersi, sperimentare nel gioco sessuale e nei ruoli. Dworkin ha cercato negli archivi storici e ha scoperto che alcune donne raccontate da de Sade erano vittime di stupro, venivano da lui braccate e picchiate. Alcune l’hanno denunciato. E allora: libertà di sperimentare per chi? Sempre e solo per il maschio bianco e potente?"
Nel libro si chiede se la "vera vita diventerà quella virtuale" e se "tutto il resto sarà qualcosa di opaco e indefinito".
"Sicuramente ci sono delle cose positive con le nuove tecnologie, ma hanno la capacità di invadere le nostre vite. A volte penso che l’unica libertà che ci danno sia quella di essere consumatori, di essere manipolati".
Cosa pensa dell’autobiografismo che impera nell’editoria?
"Dipende da come si fa. Con Annie Ernaux è autobiografia e grandissima letteratura. Viceversa ci possono essere dei romanzi autobiografici che non dicono niente, non hanno personaggi vitali né ritmo narrativo. Purtroppo è scomparsa la critica, oggi chi non ha dei punti di riferimento saldi può credere di avere tra le mani un libro di letteratura quando invece non lo è".
A chi è destinato questo romanzo?
"Lo scambio più forte è sempre con le lettrici, anche se non mancano lettori anche simpatici. Mi interessa molto vedere cosa porto nella vita delle altre donne, e cosa portano loro nella mia".
C’è una canzone che abbinerebbe alla storia che racconta nel libro?
"Bandiera, di Giulia Mei. Mi piace tutto il suo album".