Londra, 30 ottobre 2024 – “In quanto scrittori, editori, lavoratori dell’industria editoriale, pubblichiamo questa lettera mentre affrontiamo la più profonda crisi morale, politica e culturale del XXI secolo”. Così inizia la lettera firmata da oltre mille scrittori e professionisti dell’editoria che chiedono il boicottaggio delle istituzioni culturali israeliane che “sono complici o sono rimaste osservatori silenziosi dell'oppressione schiacciante dei palestinesi”. Tra le firme anche Sally Rooney, Arundhati Roy e Rachel Kushner.
Israele ha ucciso “almeno 43.362” palestinesi a Gaza da ottobre scorso, dopo “75 anni di sfollamento, pulizia etnica e apartheid” si legge nella dichiarazione, come riportato dal Guardian. La cultura “ha svolto un ruolo integrale nella normalizzazione di queste ingiustizie”: le istituzioni culturali israeliane, “spesso operando direttamente con lo stato, sono state fondamentali nell'offuscare, travestire e abbellire l'oppressione di milioni di palestinesi per decenni”. Di conseguenza, autori, autrici, editori e professionisti del settore che hanno firmato affermano che non lavoreranno con editori israeliani, festival, agenzie letterarie e pubblicazioni che sono “complici nella violazione dei diritti palestinesi”, inclusa l'adozione di “politiche e pratiche discriminatorie” o il “lavaggio culturale e la giustificazione dell'occupazione, dell'apartheid o del genocidio da parte di Israele”.
La campagna, spiega il quotidiano britannico, è stata creata dal festival della letteratura palestinese (noto anche come PalFest), che organizza un festival annuale con eventi pubblici gratuiti in diverse città della Palestina, insieme a gruppi come Books Against Genocide, Book Workers for a Free Palestine, Publishers for Palestine, Writers Against the War on Gaza e Fossil Free Books.
Chi lavora nel settore dell’editoria ha un "ruolo da svolgere", afferma la petizione. “Non possiamo, in buona coscienza, interagire con le istituzioni israeliane senza interrogare la loro relazione con l'apartheid e lo sfollamento”, si legge, notando che “innumerevoli autori” hanno preso la stessa posizione contro l'apartheid in Sudafrica. Sally Rooney, autrice di “Persone normali” (Einaudi, 2019), che di recente ha pubblicato il suo nuovo romanzo “Intermezzo” – in uscita in Italia il 12 novembre, sempre per Einaudi – è da tempo un'aperta sostenitrice dei diritti palestinesi e nel 2021 ha rifiutato di vendere i diritti di traduzione in ebraico del suo terzo romanzo, "Dove sei, mondo bello" (Einaudi, 2022), a un editore israeliano. Anche Arundhati Roy e Rachel Kushner sono critiche di Israele. Accettando il premio PEN Pinter all'inizio di questo mese, Roy ha approfittato del momento per parlare di Gaza e ha affermato che avrebbe donato il premio al Palestinian Children’s Relief Fund.
Non sono mancate le voci contrastanti, come quella di Fania Oz, figlia del famoso scrittore e saggista israeliano Amos Oz, deceduto nel 2018. “Mio padre si sarebbe intristito e disgustato – ha dichiarato Oz in una recente intervista riguardo la petizione – Questa richiesta di boicottaggio non è solo stupida, è anche ostile. Perché collega la politica d’Israele alla cultura ebraica: una cosa che per gli altri paesi non accade mai”. Secondo Oz “non c’è nessun’apartheid”, “non c’è neppure un genocidio in corso”: “Questo è il peggiore dei governi israeliani – ha detto – Noi non sosteniamo il modo in cui fa la guerra. Però condividiamo la necessità di sconfiggere Hamas e Hezbollah. Boicottare gli scrittori è come boicottare l’intera cultura di un popolo. La cultura non può essere bandita”.