Nel cuore pulsante della Storia, tra le pagine di un romanzo che diventa testimonianza, la scrittrice Ritanna Armeni, ospite del vodcast “Il Piacere della lettura”, racconta perché ha scelto di scrivere un romanzo per narrare un episodio tanto significativo quanto divisivo: l’azione di guerra partigiana di via Rasella avvenuta il 23 marzo 1944.
"A Roma non ci sono le montagne" (Ponte alle Grazie) non è un saggio, dunque, ma un romanzo che esplora le emozioni dei giovani gappisti, protagonisti di un’operazione militare vissuta tra paura, determinazione e sacrificio. La scelta narrativa di Armeni nasce dalla volontà di superare la freddezza della storiografia per restituire alle vicende la loro dimensione umana. Quei ragazzi non erano incoscienti né sprovveduti, ma consapevoli protagonisti di una battaglia per la libertà. Giovani universitari, intellettuali, professori e studenti che, in un contesto urbano privo di rifugi naturali, seppero trasformare la città stessa in un campo di lotta, sfidando il nemico nel cuore della capitale occupata.
Il titolo del libro, evocativo e quasi metaforico, richiama proprio questa peculiarità: a Roma non c'erano montagne né boschi dove nascondersi, ma conventi, piazze, fontane e portoni dietro i quali tessere la resistenza. Una resistenza silenziosa, a volte nascosta, spesso fraintesa, che necessitava di gesti eclatanti per essere riconosciuta. L’azione di via Rasella nasce con questo intento: dimostrare che opporsi ai tedeschi era possibile.

Il romanzo, però, non si limita a rievocare i fatti. Armeni porta il lettore nel vissuto dei protagonisti, in quelle due ore di attesa prima dell’azione, quando il destino sembra sospeso e i pensieri si affollano. La paura di fallire, la tensione, il peso della scelta: uccidere non è mai un atto leggero, anche quando si è costretti a farlo per la libertà. Ecco perché questa narrazione non è solo il racconto di un’operazione militare, ma una profonda riflessione sulla memoria e sulle emozioni di chi scelse di combattere.
La memoria di via Rasella, infatti, è rimasta segnata da una narrazione distorta, alimentata da propaganda e fraintendimenti. L’autrice lo sottolinea con forza: si è cercato di legare direttamente un’azione partigiana alla rappresaglia tedesca, creando un nesso di causa-effetto che ha inciso sulla percezione dell’episodio nella memoria collettiva. Ma la realtà storica è più complessa e non può essere ridotta a una visione semplicistica.
Decisivo nei Gap è il ruolo delle donne; spesso percepite come figure marginali, ma, in realtà, protagoniste assolute; visto che trasportavano addirittura bombe nelle borse, agivano di loro iniziativa, avevano un ruolo attivo e determinante.
Infine, l’autrice confessa il dolore provato nello scrivere “A Roma non ci sono le montagne”. Un dolore profondo, legato alla consapevolezza di dover restituire giustizia a una memoria ancora oggi lacerata. Eppure, soltanto ora, con il libro nelle mani dei lettori, tutto appare più chiaro: il bisogno di raccontare non è solo un esercizio narrativo, ma un atto di resistenza culturale. Perché la memoria va protetta, difesa e, soprattutto, raccontata. Sempre.