Mercoledì 28 Agosto 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Pino Cacucci: "Pancho Villa è ancora un mito. Avrebbe tanto da insegnarci, ma abbiamo perso le passioni"

Il nuovo romanzo dello scrittore e traduttore prende spunto dalla vita del rivoluzionario messicano. "È stato un capo militare che ha fondato scuole, non caserme. Gettò semi che ancora germogliano".

Lo scrittore Pino Cacucci

Lo scrittore Pino Cacucci

Roma, 25 agosto 2024 – Pino Cacucci, ma allora Pancho Villa è un mito che resiste al secolo trascorso dal suo assassinio?

"Da questa parte di mondo – risponde lo scrittore – Pancho Villa è ricordato forse per qualche vecchio film, ma in Messico è tutta un’altra cosa. Lì Pancho Villa continua a essere un simbolo di riscatto, un uomo che fu riparatore e soprattutto vendicatore di torti, prima ancora che un rivoluzionario". Cacucci ha dedicato al Messico una lunga serie di romanzi, spesso ispirati a fatti e personaggi storici: citiamo, fra molti altri, Tina, San Isidro Futból, La polvere del Messico, Nahui. Stavolta si è cimentato, appunto, con Pancho Villa, il comandante dei ribelli del Nord durante la rivoluzione messicana del 1910. Dieguito e il Centauro del Nord non è una biografia – quella l’ha scritta Paco Ignacio Taibo II e Pino l’ha tradotta, Un rivoluzionario chiamato Pancho (Tropea 2007) – ma il racconto di un episodio (verità o leggenda non importa) della vita di Pancho, ferito e assistito nel suo nascondiglio segreto da un ragazzino.

Villa in Messico è ancora un simbolo?

"L’anno scorso ricorreva il centario della morte, del suo assassinio, e la sua faccia e il suo nome erano ovunque, in tutte le comunicazioni istituzionali, anche nei discorsi del presidente Obrador".

Un rivoluzionario istituzionalizzato…

"Sì, in Messico è così, ma c’è una memoria popolare che lo riscatta costantemente. Esistono innumerevoli organizzazioni di lotta popolare intitolate a Pancho Villa: comitati cittadini, di quartiere, di condominio; gruppi che lottano per la terra o per rivendicare diritti. Questo è un indicatore dell’estrema popolarità di un personaggio che nessuno è riuscito a imbalsamare".

E nessuno lo contesta?

"Beh no, c’è tutta quella parte di Messico più retrivo, più reazionario, che ovviamete è contro. Molti lo considerano ancora un bandito, perché Pancho Villa cominciò come ladro di cavalli e di bestiame e proseguì vendicando i senza terra. Vendicandoli nel senso di portare via un sacco di terre ai ricchi".

È ricordato solo come combattente o ha lasciato in eredità anche qualcos’altro?

"Le sue non furono solo scorribande. A un certo punto ci fu un Pancho Villa politico. Divenne per un breve periodo governatore del Chihuahua e lì dimostrò come si poteva portare avanti il più grande Stato del Messico, da solo più vasto della Gran Bretagna, con un governo di onesti. Una cosa, questa, che in Messico non si perdona. Infatti nel 1923 fu eliminato".

Pino Cacucci: "Pancho Villa è ancora un mito. Avrebbe tanto da insegnarci, ma abbiamo perso le passioni"
Pancho Villa in un murale nella casa museo di Chihuahua, capitale dell’omonimo Stato messicano. Nato nel 1878, fu ucciso nel 1923

In Dieguito e il Centauro del Nord emerge anche il profilo di un Pancho Villa riformatore sociale.

"Ci tenevo a mettere in risalto l’aspetto meno ricordato di Pancho Villa, il meno ricordato anche in Messico, cioè il Villa ossessionato dall’alfabetizzazione, dal desiderio di dare le scuole ai figli dei contadini, ai figli dei poveri, dicendo sempre: se restate ingnoranti sarete sempre servi della gleba. Il grande combattente fu un fondatore di scuole, non di caserme. Ne aprì 50 nel solo Chihuahua e nella sua hacienda di Canutillo realizzò un’esperienza unica di formazione e istruzione per la comunità. Durò poco, un paio d’anni, ma gettò dei semi, e infatti in Messico la memoria di Pancho Villa è sempre viva".

Che cosa può dire a noi europeri una figura del genere?

"Potrebbe dirci tantissimo ed essere d’esempio, come lo è per tanti in Messico, ma sono molto pessimista sulla nostra Europa. Tutti i poteri, tutti i governi sono totalmente sordi a istanze del genere; Pancho Villa potrebbe però dire molto ai movimenti di emancipazione: per quello che fece e per come lo fece".

Qualcuno dice che la rivoluzione messicana fu la vera rivoluzione del ‘900, più importante di quella bolscevica. Condivide?

"Penso che sia vero, per i risultati che ha ottenuto. Certo, è stata subito tradita, con l’avvento dei gattopardi che l’hanno usata per il proprio potere, ma quella messicana, non dimentichiamolo mai, rimane una rivoluzione sociale, cioè basata sul riscatto della gente più umile, degli sfruttati, basata sulla richiesta della riforma agraria, di cambiamenti sociali molto profondi. E al tempo stesso, già negli anni Venti, almeno a Città del Messico e nelle grandi città, assistiamo anche a una rivoluzione delle donne che afferma princìpi, ideali, modi di vivere che noi, per vederli in Europa e Stati Uniti, dovremo aspettare gli anni Settanta. La parola femminismo nasce in Messico nel 1919, come nome di una rivista che comincia a parlare, appunto, di femminismo. Non fu nulla di superficiale, né una semplice ventata, ma qualcosa di molto profondo che cambiò la società, sia pure non in tutto quel vastissimo paese".

L’America latina è ancora terra di rivoluzioni?

"Da Simón Bolívar in poi ce ne sono state parecchie, spesso con esiti più che discutibili. Sono stati pochi i rivoluzionari che hanno avuto chiaro, come quelli messicani, che l’obiettivo non dev’essere prendere il potere, con il rischio di sfociare nell’assolutismo, ma cambiare in profondità le condizioni sociali dei più umili. L’America latina è però ancora un continente di grandi passioni, che non si sono mai sopite. Le persone, indipendentemente da quanto siano accuturate, o umili, o poco istruite esprimono un desiderio di partecipazione alla cosa pubblica che noi non conosciamo più. L’Europa non è solo decadente, è vecchia dentro. Qui siamo tutti stanchi. L’America latina, invece, continua a emanare, anche attraverso la sua letteratura, la sua arte, la sua musica, delle onde di autentica passione".

Dopo tanti anni, il Messico che cosa le trasmette ancora?

"Quando vado in Messico ricarico la batteria delle emozioni. E anche solo parlando a distanza con gli amici che ho là, ricevo iniezioni di dignità, orgoglio, simpatia che mi fanno sentire meno vecchio".