Parola e musica: connubio affascinante, complesso, sfuggente. Dall’inizio dei tempi le due arti s’intrecciano, si amano, bisticciano, si sorreggono, si contraddicono. A volte predomina la prima, e la musica segue; talaltra s’impone la seconda, e la parola si sottomette. Immaginate un concertato d’opera: le parole sono spesso incomprensibili a chi ascolta, mentre la musica v’invade e toglie il fiato. Oppure una cantata da camera del Seicento: tutte le parole giungono chiare, sostenute e rinvigorite dai suoni.
Nel Novecento, i linguaggi della tradizione entrano in crisi, si alterano, azzardano esperimenti, imboccano strade impervie e inesplorate: ed ecco che l’incontro-scontro di musica e parola trova espressioni inusitate. Un volumetto divulgativo, La lingua delle cose mute – il riferimento è a Hofmannsthal e alla Lettera di Lord Chandos – offre ai lettori esempi preclari di questo rapporto nel Novecento. Lo firmano Mila De Santis, musicologa, e Monica Benvenuti, cantante. Con mano leggera, ci conducono dentro composizioni mirabili. A partire da Pierrot lunaire di Arnold Schönberg, una maschera che ha assunto una psiche contorta, immersa in scenari macabri e inquietanti. Le strofette del belga Albert Giraud (1884) furono tradotte in tedesco (1892) da Otto Erich Hartleben, che ne rispettò la struttura formale ma esasperò le immagini, già di per sé crude.
Non mancano poi alcune paginette sul Wozzeck di Alban Berg, sul dissacrante teatro musicale di Bertolt Brecht e Kurt Weill, sulle Histoires naturelles di Jules Renard e Maurice Ravel. E poi c’è Igor Stravinskij, con L’histoire du soldat, e Luigi Dallapiccola con i commoventi Canti di prigionia (1938/41).
Nella seconda parte del volumetto, Monica Benvenuti illustra i mutamenti subìti dai vari parametri espressivi: lo Sprechgesang, ossia una sorta di recitazione intonata, introdotta da Schönberg nel Pierrot; le ‘parole in libertà’ dei futuristi; le nuove grafie, che trasformano il segno in disegno e viceversa, affinché l’interprete crei da sé il proprio percorso nell’opera d’arte; l’esplorazione del silenzio in John Cage; l’impiego della tecnologia a partire dal famoso Studio di Fonologia di Milano. Non manca un succinto glossario per soccorrere il profano di musica: perché non curiosare dunque nelle straordinarie creazioni vocali del ‘secolo breve’?
Giuseppina La Face